Dalle risse nei quartieri popolari alle aggressioni nei parchi pubblici, fino all’uso sempre più frequente di coltelli: la cronaca campana racconta con preoccupante regolarità episodi che vedono protagonisti giovanissimi, spesso ancora minorenni. Napoli, da anni osservatorio privilegiato di questo fenomeno, è diventata il simbolo di una violenza che coinvolge adolescenti e perfino bambini, specchio di un disagio sociale profondo che oggi non riguarda più solo il Sud ma l’intero Paese.
Lo stato dei fatti
Un report del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale, intitolato “Criminalità minorile e gang giovanili”, segnala che nel biennio 2022-2023 in 73 province italiane si sono registrate attività violente o devianti attribuibili a baby gang.
Le gang giovanili sono presenti su tutto il territorio nazionale, con una lieve prevalenza al Centro-Nord, dove i cosiddetti maranza destano forti preoccupazioni sui territori, ma la Campania rimane tra le regioni dove il fenomeno assume forme più visibili e violente, soprattutto nell’area metropolitana di Napoli.
Le attività più frequenti comprendono:
- atti di bullismo, percosse, lesioni e risse;
- vandalismi e disturbo della quiete pubblica;
- in alcuni casi, furti, rapine e spaccio di stupefacenti.
I numeri mostrano un aumento di alcuni reati compiuti da minori: +8,25% per le violenze sessuali, +7,69% per le rapine e +1,96% per le lesioni dolose tra il 2022 e il 2023. Parallelamente sembrano calare le segnalazioni per risse, percosse, furti e danneggiamenti. Un dato che segnala come la gravità media delle condotte possa essere in crescita.
Non esistono tuttavia statistiche nazionali recenti che quantifichino in maniera puntuale le aggressioni delle baby gang a danno di adulti, né episodi estremi come quelli che coinvolgono bambini molto piccoli: i casi finiscono perlopiù nelle cronache locali, senza confluire in banche dati ufficiali. Proprio a Napoli e provincia, negli ultimi mesi, non sono mancati episodi eclatanti che hanno riacceso il dibattito sulla sicurezza e sulla tutela dei minori.
Il quadro normativo
La legge italiana fissa a 14 anni l’età minima per l’imputabilità penale (art. 97 del Codice Penale). Un bambino sotto questa soglia, anche se autore di un’aggressione, non può essere perseguito penalmente. In questi casi intervengono i servizi sociali e il Tribunale per i Minorenni, con misure educative o di tutela.
Per i ragazzi tra i 14 e i 17 anni, invece, esistono procedure specifiche: la giustizia minorile prevede attenuanti, percorsi alternativi alla detenzione, attenzione al reinserimento sociale e alla formazione. La detenzione in istituto penale minorile resta l’extrema ratio, riservata ai casi più gravi.
Sul piano politico, si discute da anni di abbassare a 12 anni la soglia di imputabilità, ma la proposta non è mai stata tradotta in legge. Intanto sono allo studio misure ulteriori, come il cosiddetto decreto anti-baby gang: daspo urbano, limitazioni all’uso dei cellulari e dei social per minori violenti, avvisi orali e responsabilità genitoriale più stringente.
Analisi e possibili soluzioni
Il fenomeno delle baby gang è percepito con particolare forza in Campania, dove storicamente i quartieri popolari di Napoli e provincia rappresentano terreni fertili per l’aggregazione giovanile in forme deviate. Le cronache riportano con costanza episodi di violenza che vanno dalle risse agli accoltellamenti, con un uso preoccupante delle armi bianche, facilmente reperibili nei negozi o online.
Gli esperti sottolineano che non basta la repressione: serve un approccio integrato.
Sul fronte della prevenzione sociale, occorrono programmi educativi nelle scuole, attività sportive e culturali nei quartieri più fragili, servizi di supporto psicologico e di educazione alla legalità.
Sul territorio, va rafforzata la presenza delle forze dell’ordine nei luoghi a rischio, ma con una logica di prossimità e dialogo, accanto a reti di collaborazione tra comuni, scuole e servizi sociali.
A livello normativo, oltre a discutere sull’età di imputabilità, è necessario pensare a misure “intermedie” per i minori non imputabili: percorsi obbligatori di riabilitazione, mediazione con le vittime, impegni comunitari che coinvolgano anche le famiglie.
Un nodo cruciale resta il controllo della vendita di coltelli e armi bianche, oggi troppo semplice sia nei negozi fisici che online.
Conclusioni
Napoli e la Campania continuano a essere un laboratorio drammatico del fenomeno baby gang, ma quello che accade qui è lo specchio di una tendenza nazionale (si veda il fenomeno dei maranza al nord). La violenza giovanile rischia di trasformarsi in una delle più gravi emergenze sociali se non si interviene con decisione e in modo coordinato.
Gli episodi di cronaca che vedono protagonisti ragazzi di 14 o 15 anni armati di coltelli, o addirittura bambini, scuotono le coscienze e richiedono risposte immediate. Ma la vera sfida è impedire che si ripetano.
Non bastano le punizioni a posteriori: servono politiche di inclusione, prevenzione, sostegno alle famiglie e una nuova cultura della legalità. Perché proteggere i più piccoli dalla spirale della violenza significa proteggere il futuro della società intera.