Si divide in due tronconi il processo sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi negli appalti delle Ferrovie dello Stato, in cui figurano 59 imputati tra presunti colletti bianchi del clan ed ex funzionari di Rete Ferroviaria Italiana. Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha infatti “spacchettato” il dibattimento stabilendo di tenere per competenza territoriale il reato di associazione camorristica ed estorsione con l’aggravante mafiosa e di trasferire al tribunale di Napoli gli atti relativi alle contestazioni di fattispecie penali quali l’intestazione fittizia, la corruzione, la turbativa d’asta, la rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. Gli imputati più importanti, come Nicola Schiavone e il fratello Vincenzo, compariranno in entrambi i filoni processuali. La decisione del collegio di tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduto da Giuseppe Meccariello è arrivata dopo che la Corte di Cassazione ha respinto a metà ottobre l’istanza dei difensori degli imputati che chiedevano il trasferimento del processo a Roma o Napoli. Il processo sulle infiltrazioni dei Casalesi negli appalti è uno dei più importanti per quanto concerne i “colletti bianchi”, ossia quell’area grigia che permette ai clan di arrivare nelle stanze che contano; 59 gli imputati nel dibattimento cui si aggiungono altri 9 che hanno scelto il rito abbreviato, che dovrebbe concludersi con la sentenza nei prossimi giorni. Coinvolti ex manager delle Ferrovie, accusati di aver dato appalti alle ditte del clan in cambio di soldi e regali, importanti esponenti del clan dei Casalesi come Dante Apicella (ha scelto l’abbreviato), e soprattutto l’imprenditore e colletto bianco Nicola Schiavone, padrino di matrimonio del primogenito del capo dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, di cui è da sempre amico e ritenuto dalla Dda suo socio e prestanome (i due sono solo omonimi); per i magistrati anticamorra Nicola Schiavone avrebbe permesso al clan di infiltrarsi negli appalti di Ferrovie dello Stato, e sarebbe cresciuto imprenditorialmente grazie ad un patto stretto con il capoclan. “Ha usato il lievito madre” di Sandokan, è la frase “simbolo” dell’indagine, usata dalla moglie del boss, Giuseppina Nappa, per indicare proprio l’ascesa di Schiavone. Le accuse per tutti gli imputati vanno a vario titolo dall’associazione a delinquere di tipo mafioso, all’estorsione, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione, riciclaggio con l’aggravante della metodologia mafiosa ma anche rivelazione di atti coperti dal segreto delle indagini.

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