Oramai non è più un mistero. La mafia nigeriana nel silenzio assoluto è diventata una vera e propria realtà criminale in Campania. A tal punto da occupare innumerevoli piazze di spaccio soprattutto fra le province di Napoli e Caserta. A stabilirlo in maniera inequivocabile è l’ultima relazione della Dia sull’evoluzione dei fenomeni mafiosi in Italia. Infatti la Dia stabilisce che “le diverse organizzazioni criminali etniche agiscono in tutto il territorio nazionale ma presentano connotazioni differenti per origini, composizione e modalità d’azione. Inoltre, l’attività di analisi ha evidenziato un maggiore livello d’indipendenza e di autonomia delle aggregazioni straniere nelle Regioni italiane del nord che talvolta operano in posizione pressoché paritetica rispetto alle mafie locali, con le quali a volte interagiscono per il raggiungimento delle finalità criminali.

Nelle aree centro-meridionali si registra un’apparente inversione di tendenza rispetto al passato. Infatti, mentre fino a pochi anni orsono si è assistito ad una prevalente subordinazione dei sodalizi stranieri alle organizzazioni mafiose autoctone, più di recente le attività di polizia giudiziaria mostrano un rafforzamento graduale e costante dei gruppi criminali stranieri che tendono ad acquisire maggiore autonomia rispetto al dominio incontrastato delle mafie locali1. Le evidenze investigative sembrerebbero confermare un livello di tolleranza da parte di queste ultime1 limitatamente a spazi illeciti non “occupati” (o non più “occupati”) dalle mafie autoctone che, talvolta, sono dati “in concessione” in ragione delle difficoltà operative-gestionali. Le compagini etniche, peraltro, risultano talvolta alleate nella realizzazione di specifici affari illeciti, ponendo attenzione ad evitare contrapposizioni e perseguendo, invece, equilibri basati sulla ripartizione territoriale o di settori criminali d’interesse. Tale tendenza potrebbe presagire una metamorfosi dei rapporti di forza tra mafie nazionali e straniere, sempre più orientate a forme di coesistenza funzionale, andando oltre alla mera convivenza. Molteplici attività investigative documentano la costituzione di alleanze strategiche e opportunistiche tra consorterie di diversa matrice, anche etnica, con gli esponenti di riferimento della criminalità organizzata autoctona, che inducono a ipotizzare nuove tendenze evolutive nel prossimo futuro.”

Avete capito bene. In parole povere i clan partenopei e casertani, in special modo coloro i quali hanno incentrato il proprio core business su narcotraffico, hanno stretto un patto nel buio per la spartizione delle piazze di spaccio. Oramai il traffico di droga non rappresenta più un affare redditizio per le cosche (soprattutto) napoletane. Che oramai hanno spostato i propri interessi (basta dare uno sguardo alle notizie di questi giorni circa la presunta “svolta imprenditoriale” di ciò che resta del clan Di Lauro) su investimenti legate alle aste giudiziarie nel settore immobiliare. Ovviamente se tutto ciò fosse confermato dagli inquirenti ci troveremmo dinanzi a una duplice passaggio di natura storica.

Il primo riguarda la conferma delle indagini degli 007 della Direzionale Investigativa Antimafia degli ultimi anni e di chi in totale solitudine denunciava la crescita esponenziale della mafia nigeriana. Le cosche napoletane, eccezion fatta per i clan Moccia e Mallardo che non hanno mostrato grande interesse nella storia della camorra per il business del narcotraffico, hanno “delegato” ai clan africani la gestione delle piazze di spaccio.  E qui veniamo al secondo punto. Fino a che punto reggerà l’alleanza fra i clan campani e i gruppi nigeriani? Del resto le indagini condotte dalla Dia non lasciano spazio a interpretazioni. I clan nigeriani, o anche secrets cults, ovvero confraternita universitarie che avevano come obiettivo l’abolizione dell’apartheid negli scorsi decenni. In seguito, per via dei conflitti interni al Paese, tali confraternite si trasformarono in gruppi criminali, presentano una struttura interna molto simile alla mafia casalese: vincoli familiari, controllo militare del territorio e punizioni “esemplari” per i traditori. Dunque nei fatti i gruppi africani sono camorristi negli affari e mafiosi in termini di organizzazione. Un mix esplosivo che da un lato certifica l’attuale stato di salute della camorra ma che dall’altro lato rischia di rompere gli equilibri criminali coi clan operativi nell’hinterland napoletano e in Terra di Lavoro. Chi vuol capire, capisca. La nuova frontiera della criminalità si fa spazio in Campania. Con o senza l’avallo dei gruppi che operano sul territorio regionale. Altro bagno di sangue in vista?

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