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Gli inni sacri e la censura che non ti aspetti: il caso Emis Killa

di Alessandro Di Mezza.

Ladispoli, Roma. Il sindaco e la giunta comunale decidono che la notte di capodanno sarà infiammata da Emis Killa, uno dei rapper più longevi della scena italiana, una sorta di figura paterna per gli aspiranti musicisti, nonché un idolo sia per le vecchie generazioni cresciute insieme alle sue canzoni, sia per i più giovani che, ascoltando i brani più recenti, si sono innamorati della sua musica.

L’organizzazione dell’evento scatena subito polemiche per ragioni economiche, ma non è tutto. Interviene chi con feste, celebrazioni e musica non dovrebbe avere nulla a che fare: la politica, che pone il veto alla decisione del comune romano. Perché? Perché, stando ai commenti di chi è intervenuto, la musica del rapper di Vimercate potrebbe arrecare danni alle giovani menti; queste, infatti, secondo la “strana” visione di costoro, verrebbero influenzate e assuefatte da tutte quelle frasi offensive nei confronti delle donne, quegli “inni al femminicidio”, così definiti da un quotidiano nazionale.

Come finisce la storia? Concerto annullato (e il rapper di Vimercate non ha nascosto la sua delusione sui social), danno d’immagine per Emis Killa (anche se il brano incriminato – 3 messaggi in segreteria- sta guadagnando molto in termini di visibilità), ma soprattutto uno scandalo. Lo scandalo è che oggi si ricorra ancora alla censura, tra l’altro completamente ingiustificata. Basterebbe capirne il senso di quei testi, che fotografano la violenza, non la incitano. Una fotografia, anche in musica, è sempre una denuncia. Voglio ricordare, per dovere di cronaca, che solo 2 anni prima dell’uscita della canzone “incriminata”, tutta l’Italia cantava a squarciagola “Maracanà”. Tutti, dal primo all’ultimo hater di Emis Killa e della musica rap. Parlando di inni, eccone uno…

D’accordo, l’Italia è senz’altro ancora scossa dall’assassinio di Giulia Cecchettin, vittima di uno dei più brutali assassini che il nostro Paese abbia mai visto negli ultimi anni. Una povera ragazza uccisa dalla violenza di un uomo che, senza troppi giri di parole, è un mostro senza pietà. Riposa in pace Giulia, l’Italia ti sta ricordando e ti ricorderà sempre, ma purtroppo non sempre lo fa e lo farà nella giusta maniera.

In sostanza, sul piatto abbiamo una canzone del 2016, la quale si è distinta già in quell’anno nonostante lo stesso autore abbia dichiarato di recente che “quell’album non è stato calcolato da nessuno” e che è stato probabilmente “uno dei più sottovalutati degli ultimi tempi”, che dal mio punto di vista è un capolavoro di story-telling, una poesia che racconta una storia d’amore tormentata, travagliata, tossica, con un ritornello martellante che ancora riecheggia nella testa degli appassionati a distanza di anni; oggi se tutto questo viene accusato ferocemente, significa che tutta la musica è aggredita con violenza. Invece, nessuno pensa che questo pezzo, insieme a tanti altri, possa insegnarci a vivere quelle esperienze dolorose in maniera opposta, o a suggerirci di non viverle in quel modo?

Se non si comprende la differenza tra incitamento e denuncia bisognerebbe evitare di intervenire causando danni inimmaginabili, e forse quelli economici sono la parte minore di questa storia. E chi alimenta i deliri dei censori è ugualmente colpevole, in quanto promuovendo e sostenendo l’ignoranza ne diffonde il verbo. Il veleno. Al contrario, un bel lavoro di informazione lo ha fatto la redazione di Deejay.it, riportando le spiegazioni dell’artista (“Per farvi un’idea di me a riguardo piuttosto dovreste parlare con le donne che fanno parte della mia vita, dalla mia famiglia alle amiche. Cercate i colpevoli tra i colpevoli, non tra chi è dalla vostra parte pur avendo un altro modo di affrontare le cose”.) e finanche la testimonianza di una fan: “Io sono stata vittima di una relazione tossica per un anno e mezzo, nella quale lui mi ha alzato le mani, puntato un coltello alla gola e minacciato di morte perché lo avevo lasciato. Le tue canzoni mi hanno salvato”.

Ah, l’Italia: il Paese dove si interviene solo dopo una tragedia. Ma almeno si intervenga nel modo corretto…

Ladispoli celebra il sindaco pescatore Angelo Vassallo con una statua in marmo

Sarà inaugurata un’opera unica nel suo genere nel giardino di Viale Mediterraneo, a Ladispoli (Roma), intitolata al Sindaco Pescatore Angelo Vassallo. La statua, in marmo travertino, raffigura Angelo Vassallo seduto, con il timone in mano e il capo leggermente girato, simbolo del suo impegno e della sua dedizione verso l’ambiente e la bellezza della natura.

L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Ladispoli e supportata da alcune realtà locali come “Mignanti Marmi“, Fausto della “CI.SI.”, e “Edilizia Conte“, ha coinvolto cittadini ed associazioni della “Marcia degli Alberi“, i quali hanno generosamente contribuito alla copertura delle spese.

Angelo Vassallo è stato il Sindaco di Pollica (SA) e un ardente sostenitore dell’ambiente e della legalità. Ha lottato instancabilmente contro la criminalità organizzata e ha perso la vita il 5 settembre 2010 ad Acciaroli. A breve saranno 13 anni dalla sua morte e l’azione della Fondazione è instancabile nella ricerca della verità sui suoi assassini.

L’opera in marmo travertino dedicata al Sindaco Pescatore è un tributo sentito alla sua memoria e al suo impegno a salvaguardia dell’ambiente, preservandolo dalle infiltrazioni criminali.

Il progetto è stato avviato grazie all’instancabile lavoro dello scultore Napoleone Albero Romualdo e di Rosario Sasso, un cittadino-volontario attivo nel territorio di Ladispoli, che hanno condiviso la stessa passione per la valorizzazione dell’habitat naturale e della cultura.

Il giardino pubblico dedicato ad Angelo Vassallo a Ladispoli è diventato un luogo di pace e riflessione immerso nel verde, dove la comunità può trovare tranquillità e meditare situata sull’importanza e sulla bellezza della natura.

In questo Paese c’è chi non si è mai arreso. Non dipende dall’età, non dipende dalla classe sociale. Dipende solo dalla propria sensibilità e dalla cultura che ti porta a lavorare per anni, in silenzio, solo per raggiungere l’obiettivo. Negli ultimi mesi assistiamo ad un’amplificazione delle iniziative a favore di Angelo, per celebrarne i valori e l’attività amministrativa, vittima innocente di mafia. Significa che l’azione portata avanti dalla Fondazione inizia a germogliare attraverso i giovani. Tante piccole gocce, che hanno creato una grande onda di legalità, muovendosi su due binari: la ricerca costante, ossessiva, della verità sulla morte di Angelo e non ci fermeremo fin quando i responsabili dell’omicidio non saranno assicurati alla giustizia. Dall’altro lato le iniziative nelle scuole e nella comunità civile, affinchè la sua visione innovativa di amministrazione intesa come bene comune non vada dispersa“, dichiara Dario Vassallo, fratello di Angelo, sottolineando lo spirito che ha animato l’iniziativa e il duro lavoro dietro di essa.