Archivi tag: Cassazione

Il saluto romano commemorativo può essere un reato

Il saluto romano può essere reato anche se fatto durante una commemorazione. A definire il reato la valutazione del contesto ambientale, della ripetitività del gesto, della valenza simbolica e la possibile emulazione. E’ quanto sostengono le Sezioni Unite della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui il 18 gennaio scorso hanno disposto un processo di appello bis per otto militanti di estrema destra che avevano compiuto il saluto nel corso di una commemorazione a Milano nel 2016. Una vicenda per la quale, precisa la Cassazione, la prescrizione è “maturata” nel febbraio scorso. Per stabilire la sussistenza di reato, in caso di saluto romano, osserva la Cassazione, il giudice deve “in concreto” e alla luce di valutazioni complessive, accertare “la sussistenza” di una serie di elementi, tra cui “il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti”, idonei a dare concretezza al pericolo di “emulazione”. Nella sentenza i Supremi giudici affrontano anche il tema del “saluto” in caso di commemorazioni. La Cassazione esclude che “la caratteristica ‘commemorativa’ della riunione possa rappresentare fattore” di “automatica insussistenza del reato”. Nell’atto gli ermellini ribadiscono quanto avevano affermato nel giorno della sentenza: la risposta “alla chiamata del presente” e il saluto romano “integra il delitto previsto” dall’articolo 5 della legge Scelba sulla ricostituzione del partito fascista “ove, avuto riguardo alle circostanze del caso” costituisca un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista. Questa condotta, inoltre, “può integrare anche il delitto di pericolo presunto, previsto” dall’articolo 2 della legge Mancino sui crimini d’odio “ove tenuto conto del contesto” sia espressione “di manifestazione delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi” che hanno tra i loro scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. I difensori degli imputati nel giorno della sentenza avevano sottolineato come la decisione degli ermellini sancisse che il saluto fascista “non è reato a meno che ci sia il pericolo concreto di ricostituzione del partito”. Una posizione ribadita anche alla luce della lettura delle motivazioni. “Le Sezioni Unite confermano l’indicazione della necessità di verifica nel caso concreto del pericolo per l’ordine costituzionale – commenta l’avvocato Domenico Di Tullio – che, se non può essere escluso dalla finalità genericamente commemorativa, richiede certo modalità e caratteristiche che esulano dalle circostanze usuali, composte e solenni, della cerimonia del Presente e dal saluto romano a fini commemorativi in essa adottato”.

Confermate le Condanne per la Strage di Viareggio: Giustizia a 102 Mes i dall’Incidente Ferroviario

Dopo 102 mesi di indagini, dibattiti e appelli, la Corte di Cassazione ha confermato le condanne emesse nell’appello bis per la strage di Viareggio, l’incidente ferroviario avvenuto nel 2009 che ha causato la morte di 32 persone. La decisione è stata presa dopo una riunione di sei ore dei giudici in una camera di consiglio.

Le condanne confermate: La pena più rilevante è stata comminata a Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), con una condanna di 5 anni per disastro ferroviario. Tuttavia, la pena sarà rideterminata in un processo d’appello ter in cui saranno riesaminate le attenuanti generiche. Le difese degli imputati avevano presentato 18 ricorsi, tutti respinti dalla Cassazione.

Reazioni della difesa: La difesa di Mauro Moretti si è dichiarata insoddisfatta per il rifiuto di “trattare un compendio probatorio che è tutto a vantaggio dell’ingegnere Moretti”. La legale dell’ex amministratore delegato, Ambra Giovene, ha spiegato che il ricalcolo della pena evita il rischio degli arresti per Moretti, e che la riduzione della pena potrebbe avvenire nel processo d’appello a Firenze.

Le condanne degli altri imputati: Nell’appello bis, Vincenzo Soprano, ex amministratore delegato di Trenitalia, e Michele Mario Elia, ex amministratore delegato di RFI, sono stati condannati a 4 anni, 2 mesi e 20 giorni. Paolo Pizzadini, manager di Cima Riparazioni, e Daniele Gobbi Frattini, responsabile tecnico di Cima Riparazioni, hanno ricevuto condanne rispettivamente di 2 anni, 10 mesi e 20 giorni e 4 anni. Altri imputati, provenienti da aziende ferroviarie austriache e tedesche, hanno ricevuto condanne che vanno dai 4 ai 6 anni.

Responsabili civili citati: Trenitalia, Ferrovie dello Stato, RFI e Cima Riparazioni sono stati citati come responsabili civili nella sentenza.

Reazioni delle famiglie delle vittime: Marco Piagentini, fondatore dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage “Il mondo che vorrei”, ha dichiarato: “L’unica cosa che abbiamo capito è che sono state riconosciute le responsabilità. Ora però vogliamo capire bene con i nostri avvocati il dispositivo della sentenza.”

Il ricordo della tragedia: L’incidente ferroviario avvenne il 29 giugno 2009, quando un treno merci deragliò nei pressi della stazione di Viareggio, causando un’esplosione che coinvolse abitazioni vicine. Morirono 32 persone, e un centinaio rimase ferito. La causa dell’incidente fu il cedimento di un’asse del carrello del vagone deragliato.

Lungo cammino verso la giustizia: Il processo ha attraversato un iter lungo e tortuoso, con accuse che sono oscillate nel tempo da disastro ferroviario a omicidio colposo e lesioni. Il giudizio ha subito modifiche e revisioni, ma oggi rappresenta una tappa significativa nel tentativo di individuare le responsabilità per quella tragica giornata a Viareggio.

Cassazione accoglie ricorso Maradona su presunta evasione

“La Cassazione ha dato per la seconda volta ragione a Maradona e ha sancito che il pibe de oro non è mai stato un evasore fiscale”. Esprime soddisfazione e anche un pizzico di rammarico Angelo Pisani, storico avvocato del pibe de oro, commentando il pronunciamento con il quale la Suprema Corte, a metà dello scorso dicembre, ha cassato la precedente decisione dei giudici di appello e si è pronunciata contro tre dinieghi che vedevano Maradona soccombente. La sentenza giunge a tre anni dalla morte del campione argentino il quale non ebbe la possibilità neppure di vedersi accogliere sempre dalla Suprema Corte anche il secondo ricorso del campione del mondo, nel 2021. La querelle tra Maradona e il Fisco, racconta il suo legale è iniziata a Dubai: “mi recai appositamente negli Emirati per discutere con lui della vicenda fiscale visto che Diego non poteva tornare in Italia: in una riunione decidemmo di rifiutare ogni transazione e sconto sui 40 milioni di euro addebitati dal Fisco dando così il via a una battaglia legale senza esclusione di colpi di scena durata decine di anni”. Al centro della diatriba i presunti compensi versati nella seconda metà degli anni ’80 dal Napoli a Maradona, morto il 25 novembre 2020, appena qualche mese prima che fosse definitivamente dichiarata la sua innocenza. Nei pagamenti dei diritti di immagine su conti esteri (in Liechtenstein) da parte di due società straniere si configurò – secondo l’ipotesi contestata – un’evasione fiscale, all’epoca di 30 miliardi di lire, poi lievitata negli anni a 40 milioni di euro (ben 34 erano sanzioni e interessi di mora). La sezione tributaria della Cassazione (presidente Roberta Crucitti) lo scorso 14 dicembre ha accolto il ricorso di Maradona rimandando alla commissione tributaria della Campania la decisione sui calcoli e sulle spese legali della procedura che ha visto completamente rigettato il ricorso incidentale in Cassazione dell’Agenzia delle Entrate. Un ricorso nel quale quale si ipotizzava addirittura l’abuso del Diritto da parte di Maradona e dei suoi avvocati per le tante iniziative giudiziarie e mediatiche messe in campo. Nel corso di questi anni i legali hanno invocato l’autotutela e chiesto che fosse esteso anche a Diego il condono di cui aveva beneficiato il Napoli per la stessa vicenda. L’accertamento fiscale era stato infatti annullato dalla giustizia italiana con un ricorso della SSCN Napoli a guida Ferlaino la quale aderì cautelativamente anche a un condono per evitare ogni futuro equivoco. Le commissioni tributarie provinciale e regionale rigettarono però i ricorsi di Maradona e la vicenda approdò in Cassazione. L’11 marzo 2021 la Suprema Corte stabilì che il calciatore argentino avrebbe potuto beneficiare del condono e i giudici di merito avrebbero dovuto valutare la sua posizione tributaria solo per il debito eventualmente residuo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Com’è stato confermato lo scorso dicembre. Per Pisani ora “la vicenda si può ritenere chiusa: Maradona non deve nulla al Fisco italiano, ogni operazione anche matematica oltre che di logica e di giustizia porta a zero. La questione poteva essere risolta già con l’istanza di autotutela che presentammo nel 2009. Una richiesta depositata in occasione del ritorno in Italia di Maradona a Napoli, invece rigettata dall’Agenzia delle Entrate e mai rivalutata da altri giudici”. Pisani chiosa: “Chi risarcirà ora tutti i danni personali, patrimoniali e all’immagine, oltre alla storia e ai valori dello sport subiti per trent’anni da Maradona?”

Consulta: da oggi in aula il dialogo tra giudici e avvocati

Prima applicazione, nell’aula di Palazzo della Consulta, delle nuove regole sullo svolgimento delle udienze davanti alla Corte costituzionale.

Stamattina, come già avviene nelle Corti europee e anglosassoni, la trattazione delle cause è stata segnata dal dialogo (anche serrato) fra giudici costituzionali e avvocati. E ciò per effetto delle novità introdotte dalle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, approvate a maggio dalla Consulta, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 2022 e completate da un decreto del Presidente Giuliano Amato.

Ecco in sintesi le novità.

Cinque giorni prima di ogni udienza, il giudice relatore può rivolgere domande scritte agli avvocati della sua causa.

La relazione iniziale dell’udienza è sostituita da una sintetica introduzione del giudice relatore, di regola non superiore a cinque minuti.

Nel corso dell’udienza, ciascun avvocato (o collegio difensivo) ha a disposizione, di regola, quindici minuti per esporre le proprie difese e rispondere alle domande scritte del relatore.

Ciascun giudice – non solo il relatore – può però interloquire direttamente con gli avvocati, anche interrompendoli con domande e obiezioni, arricchendo così la discussione della causa.