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Maurizio de Giovanni, ‘mi chiamano zecca, basta ai convegni’

Lo scrittore napoletano Maurizio de Giovanni, il padre del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone, non parteciperà più a convegni o presentazioni di libri. Lo annuncia lui stesso sui social, dopo aver appreso di essere “definito in molti odiosi modi: presenzialista, tuttologo, perfino zecca”, scrive. De Giovanni spiega nel suo post di avere “una patologia, contratta da quando le mie cose hanno cominciato a raggiungere un pubblico oggettivamente più ampio del condominio in cui vivo. Questa patologia è il timore che qualcuno, chiunque, possa pensare: ecco, adesso che è diventato (o si sente, o gli fanno credere di essere, o immagina di essere) noto, non si presta più a dare una mano agli altri. Questo mi ha portato negli anni a un enorme aggravio di fatica. Presentare libri che devo necessariamente leggere, fare recensioni, quarte di copertina, fascette, articoli di giornale; ma anche intervenire a convegni, tavole rotonde, trasmissioni televisive, a scrivere racconti per antologie, a commentare film o fiction. Questo, lo spiego nonostante sia chiaro, non mi porta alcun vantaggio”, nessun “valore aggiunto”. Ma, continua de Giovanni, “una patologia è una patologia, quindi ho continuato a dire di sì”. “Scopro adesso – afferma lo scrittore – di essere definito in molti odiosi modi: presenzialista, tuttologo, prezzemolo, perfino ‘zecca’ (mi sfugge il riferimento all’animale, ma anche all’ente che batte moneta); e addirittura, il che è piuttosto comico, di non avere ‘amore e gratitudine per il territorio’. Io. Andando a vedere le mie presenze, scopro che sono meno del dieci per cento per il mio lavoro, e per il novanta riferibili alla suddetta patologia”. Ma ora, i “graziosi epiteti” che gli sono stati rivolti, lo hanno “definitivamente convinto. Non posso continuare così, e tutto sommato nemmeno è giusto che lo faccia. Ragion per cui – conclude de Giovanni – a partire da oggi, con esclusione degli impegni già assunti che cercherò di mantenere e delle occasioni di carattere sociale e di beneficenza che non si sovrappongano al mio lavoro, vi prego di non invitarmi, convocarmi, chiedermi o pregarmi di fare cose a supporto del lavoro degli altri. Noi zecche, sapete, di fronte all’evidenza alla fine rinsaviamo”.