Archivi categoria: Salute & benessere

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Cento cuscini a forme di cuore per le pazienti oncologiche

Cento cuscini a forma di cuore saranno di supporto post operatorio alle pazienti senologiche del reparto di oncologia dell’azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli. I cuscini serviranno alle pazienti per aiutarle nel distanziare il braccio dal corpo, nei giorni successivi all’intervento e nel corso del trattamento chemioterapico. Questi particolari ausili, sono stati progettati e realizzati a mano dalle donne del gruppo solidale del contingente spagnolo della Nato di stanza a Napoli e donate, in collaborazione con la sezione napoletana della Lilt, all’azienda ospedaliera Cardarelli. Oggi, la cerimonia istituzionale di consegna che ha visto la direttrice amministrativa del Cardarelli Marcella Abbate e il direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera Gaetano D’Onofrio, insieme al primario dell’Oncologia Ferdinando Riccardi e al responsabile della senologia Chirurgica del Cardarelli Martino Trunfio,accogliere tra gli altri di Jane Fround, in rappresentanza del gruppo solidale internazionale della Nato, il presidente della Lilt di Napoli Adolfo Gallipoli D’Errico, alla presenza di alcune associazioni particolarmente attive all’interno della struttura ospedaliera. “Un dono fatto da donne ad altre donne che si trovano a vivere l’esperienza dura della malattia è estremamente prezioso – ha affermato Marcella Abbate -: solo una donna può capire quali paure può vivere una paziente oncologica, temendo non solo per la propria salute, ma anche per il presente ed il futuro della propria famiglia”. “Per questa ragione credo che un’alleanza tra donne siano esse pazienti, volontarie, medici o amministratori può diventare un formidabile strumento di cambiamento, utile a migliorare davvero i servizi destinati ai pazienti”, ha aggiunto la Abate ringraziando “la LILT, le donne del contingente spagnolo presso la NATO e le tante associazioni presenti per il loro contributo alla giornata di oggi”. “Le grandi battaglie – ha sottolineato il professor Gallipoli D’Errico – si vincono col gioco di squadra ed anche per questo, ringrazio di vero cuore Jane Fround e tutte le volontarie Nato per il loro quotidiano impegno solidale. Ed è proprio in questa logica – annuncia il presidente della LILTNapoli – che nelle prossime settimane sottoscriveremo con l’azienda ospedaliera un protocollo di intesa che ci consentirà di intensificare in maniera significativa le attività che già svolgiamo da diversi anni all’interno del Cardarelli”. Tra le iniziative annunciate, l’ampliamento alle ex pazienti oncologiche del Cardarelli della squadra di Dragon Boat dell’associazione LILT “Donna come prima”, atlete della caratteristica imbarcazione orientale a remi protagoniste di regate internazionali a bassa intensità e di lunga durata, particolarmente benefiche alle donne operate al seno.

Epatite C, Campania Regione a elevata prevalenza di infezione da virus HCV

Si è conclusa a Salerno la quinta edizione di ‘Hand’ (Hepatitis in Addiction Network Delivery), il progetto promosso dal provider Letscom E3, con il contributo incondizionato di AbbVie, nato con l’obiettivo di anticipare la fase di screening dell’epatite C (Hcv) nella popolazione Pwid (People Who Inject Drugs) e in tutta l’utenza a rischio afferente ai Ser.D. Per la sua rilevanza a livello nazionale, dal 2019 ‘Hand’ gode del patrocinio delle quattro società scientifiche SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD.
La quinta e ultima tappa del progetto Hand 2023, svoltasi in modalità web, ha ospitato il corso di formazione ECM dal titolo ‘Screening per Hcv e linkage to care del paziente con disturbi da addiction. Le best practices sul territorio di Salerno’.
Nel corso del webinar, fra l’altro, è emerso che la Campania è una regione a elevata prevalenza di infezione da epatite C e, considerando gli anni 2015-2022, fa registrare la più alta percentuale di trattamenti avviati per numero di abitanti.
La tappa Hand ha inoltre messo in luce che gli ospedali della Campania possono rappresentare un luogo ideale per effettuare lo screening dell’epatite C sulla popolazione generale, poiché in queste strutture è possibile coinvolgere diversi reparti per fare screening, su diverse fasce di età, e all’interno dell’ospedale stesso si può dare l’avvio al trattamento.
Responsabile scientifico del corso il professor Marcello Persico, Professore Ordinario, Cattedra di
Medicina Interna all’università di Salerno. “È già da un paio d’anni- ha spiegato il professor Persico- che il ministero della Salute ha stanziato un fondo dedicato per lo screening dell’epatite C, nella popolazione generale nata tra il 1969 e il 1989 e nelle popolazioni a rischio, ovvero ai pazienti afferenti ai Ser.D. e ai detenuti in carcere. Oggi siamo in attesa che il fondo possa essere allargato anche alla fascia di età più anziana”.
“Ormai è chiaro- ha proseguito- che i Ser.D. e le carceri sono state ampiamente screenati e trattati e vanno solo nuovamente osservati, mentre il target fondamentale dovrebbe essere la popolazione generale”.
“In Campania- ha poi evidenziato Persico- abbiamo svolto diverse riunioni e deliberato un decreto per il quale siamo un po’ in ritardo per l’attuazione. In tempi brevi, però, dovremmo metterci a pari, utilizzando lo screening nelle popolazioni a rischio identificate, sia negli ambulatori di medicina generale, sia nelle farmacie, sia in tutte le zone a rischio individuate”.
Secondo l’esperto, “così come dimostrato da alcuni colleghi in lavori scientifici, potrebbe essere presa in considerazione l’opportunità di fare lo screening anche nelle popolazioni ricoverate negli ospedali”.
Durante la Tavola rotonda dal titolo ‘Il Protocollo Salerno 2023, dal counseling alla terapia: azioni sostenibili e proposte migliorative’ il Professor Persico ha inoltre ricordato che “noi siamo partiti un po’ prima, dal 2018 con tutti i colleghi del Dipartimento delle Dipendenze e con un accordo convenzionale con il carcere di Salerno e da allora stiamo screenando tutti i pazienti con abuso di sostanze tossiche e i pazienti che afferiscono alle carceri, ottenendo risultati che abbiamo anche pubblicato. Oggi stiamo attivando protocolli sulla popolazione generale”.
Intanto in Campania ha preso il via lo screening dell’epatite C all’interno delle farmacie. Nel corso dell’evento ha poi preso la parola il direttore del Dipartimento Dipendenze- ASL di Salerno, Antonio De Luna, che ha acceso i riflettori sull’esperienza del Dipartimento tra passato, presente e futuro. “Nel panorama italiano delle dipendenze- ha esordito- abbiamo una grande esperienza per quanto riguarda la terapia dell’Hcv, perché fino a qualche anno fa eravamo Centro autonomo prescrittore della terapia delle epatiti croniche. Poi, in seguito al taglio con l’arrivo dei farmaci ad alto costo, abbiamo dovuto attivare percorsi di cura privilegiati per i nostri pazienti per continuare a fare questo tipo di terapia. Continuiamo a screenare e ad arruolare pazienti, nonostante le difficoltà legate al fatto che non siamo più un Centro autonomo prescrittore”.
Ma quali sono le maggiori criticità che si riscontrano nella Regione Campania, e in particolare a Salerno, per dare piena attuazione al piano di screening per Hcv e linkage to care del paziente con disturbi da addiction? “Criticità grosse non ne abbiamo- ha sottolineato De Luna- perché è un percorso già rodato e già sottoposto a validazione proprio rispetto alla pubblicazione di dati. La criticità è legata al fatto che la regione Campania è arrivata un po’ tardi rispetto all’espletamento delle pratiche legate, ad esempio, ai kit per gli screening da distribuire sul territorio che a noi sono arrivati non più tardi due mesi fa. Quindi la Campania, rispetto ad altre regioni come ad esempio la Lombardia e il Veneto, è partita con ritardo”.
“Noi siamo un servizio, indipendentemente dal fatto se abbiamo il kit rapido screeniamo tutti tramite i nostri laboratori di riferimento. Bisognerebbe prendere esempio da regioni come Lombardia e Veneto, che hanno liberalizzato anche l’accesso alle prescrizioni all’interno dei Ser.D., il metodo più efficace, più rapido e più sicuro- ha concluso De Luna- per assicurare una buona compliance per i pazienti con disturbo da uso di sostanze”.

Sindacati, mancano 50mila infermieri per sanità territoriale

Per attuare la riforma della sanità territoriale prevista dal Pnrr servono “non meno di 50mila” infermieri. È quanto sottolinea in una nota il sindacato Nursing Up. “I numeri relativi al fabbisogno di infermieri per il Pnnr sono inequivocabili”, spiega il sindacato. Agenas ha stimato un fabbisogno di 47.500 unità, “a questi – osserva – va inevitabilmente aggiunta una stima dei professionisti legata alle oggettive evidenze quali le dimissioni volontarie, la fuga di infermieri all’estero, gli attesi pensionamenti”. Inoltre è da contare “quel 30% di perdita annuale storicizzata di infermieri rispetto ai posti disponibili ai percorsi di laurea”, continua il sindacato. Per il presidente nazionale del Nursing Up Antonio De Palma “per poter attuare il Dm77 bisogna mettere in campo coraggiose riforme di sistema, finalizzate in particolare a definire il ruolo e le responsabilità dei professionisti interessati”, ha affermato, sottolineando il ruolo chiave dell’infermiere di famiglia. “Non possiamo non considerare che l’Europa quando si parla di sanità di prossimità e di ruolo dell’infermiere di famiglia da tempo corre davvero veloce. Regno Unito, Svezia, Finlandia, Spagna, al momento sono i Paesi più avanti. Molti di questi professionisti, nelle nazioni citate, possono anche prescrivere farmaci, e si occupano di anziani, bambini e malati cronici”.

Allarme l’obesità, a Napoli medici in campo sui banchi di scuola

Abbattimento di più del 50% del consumo di cibi commerciali ‘ultraprocessati’, aumento delle ore dedicate all’attività fisica e riduzione della sedentarietà di oltre il 50%, corretta regolazione dell’igiene del sonno fino al 79% dei casi con conseguente riduzione dell’obesità di oltre il 12%.

Sono alcuni dei risultati del progetto pilota “Scuola-Salute” condotto dal team di ricerca di Roberto Berni Canani, professore di Pediatria dell’Università Federico II di Napoli, nell’ambito del Piano Operativo della Salute promosso dal Ministero della Salute. “Le abitudini di vita errate nel bambino incidono negativamente sullo stato di salute non solo in età pediatrica ma anche nelle età successive. Ecco perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato come prioritario l’obiettivo dell’educazione alla salute ed è evidente che la Scuola rappresenti il luogo privilegiato per attuare azioni educative volte alla promozione della salute e di corretti stili di vita”. Così Roberto Berni Canani, considerato tra i massimi esperti italiani di allergologia, gastroenterologia e nutrizione pediatrica, spiega l’obiettivo pedagogico ancor prima che medico-scientifico alla base del progetto ideato da un gruppo di ricerca multidisciplinare composto da pediatri, medici di comunità, dietisti/nutrizionisti e psicologi. Il progetto, approvato dal Comitato Etico Federico II-Cardarelli, ha coinvolto anche studenti del Corso di laurea in Scienze della nutrizione umana e dietistica dell’Ateneo Federiciano, ed è stato realizzato nell’anno scolastico 2022-23 nell’Istituto comprensivo “1 Ariosto” di Arzano in provincia di Napoli con un campione di oltre 200 studenti delle classi quinte della scuola primaria e delle classi terze della scuola secondaria di primo grado. Nei dati raccolti prima dell’intervento è stata osservata un’elevata prevalenza di obesità tra gli studenti della scuola, soprattutto tra quelli più piccoli: il 43.6% degli studenti della scuola primaria. Parallelamente sono stati evidenziati bassi livelli di aderenza alla Dieta Mediterranea e livelli elevati di consumo di cibi commerciali ultraprocessati. Al termine dell’intervento, soltanto otto mesi dopo, si sono registrati: una riduzione significativa nella prevalenza di obesità che si è ridotta del 12.4% negli studenti della scuola primaria e del 13.9% negli studenti della scuola secondaria di primo grado, un aumento dei livelli di aderenza alla Dieta Mediterranea, una riduzione nell’assunzione giornaliera di alimenti commerciali ultraprocessati e un miglioramento dell’igiene del sonno (al termine dell’intervento il 79.6% dei bambini e il 63.3% degli adolescenti rispettava le ore di sonno raccomandate per età). Tra i risultati di rilievo ottenuti dal progetto si è registrato un risparmio settimanale di spesa dai 25 ai 70 euro a famiglia comparando il paniere di spesa media di inizio anno e quello raggiunto dopo l’intervento ‘educativo’ volto a favorire sane abitudini alimentari che in molti casi si sono poi estese all’intera famiglia. “Siamo diventati promotori dei corretti stili di vita anche all’interno delle nostre famiglie – raccontano gli studenti – magari iniziando a suggerire ai nostri genitori di metterci nella cartella una mela invece di una merendina confezionata”. Esattamente quell’obiettivo di ‘pedagogia della salute’ con cui è nato un progetto pilota che ora il prof. Roberto Berni Canani auspica che “possa diventare un percorso diffuso e strutturale in molte altre scuole italiane”.

Al via il progetto Simit contro la resistenza agli antibiotici

Entra nel vivo il progetto nazionale della piattaforma clinica Resistimit, realizzato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali-Simit per combattere i microrganismi multiresistenti agli antibiotici, fenomeno in crescita in tutta Europa, con l’Italia che è tra i Paesi con le peggiori performance.

A caratterizzare l’iniziativa sono il registro dinamico italiano sullo studio delle infezioni da germi multiresistenti, che coinvolge 30 centri infettivologici suddivisi tra Nord, Centro e Sud in un sistema di sorveglianza molto solido, e una piattaforma software per la messa in rete di questi dati, che tramite intelligenza artificiale diventeranno utile strumento anche per definire futuri scenari.

A far partire Resistimit a fine 2022 sono stati dieci centri pilota, dislocati in tutte le aree del Paese: Roma con Spallanzani, Tor Vergata e Umberto I, Napoli con Cotugno e Federico II, Bari, Foggia, Palermo, Pisa, Varese, Modena, Perugia, Padova. “Il progetto ora si estende su 30 centri infettivologici a livello nazionale, dieci in ogni area geografica tra Nord, Centro e Sud – spiega Marco Falcone, segretario Simit – Queste 30 unità operative di malattie infettive svolgeranno un’attività di sorveglianza e condivideranno dati continuamente attualizzati su trend epidemiologici, caratteristiche dell’infezione, mortalità associata all’infezione e altri parametri utili. Oggetto di studio saranno batteri, funghi, virus e ogni altro microrganismo resistenti ai farmaci. I nostri centri clinici devono fornire ai decisori, compresa Aifa, un supporto tecnico-scientifico basato su dati di real-life per dimostrare efficacia e sicurezza dell’uso degli antibiotici nel nostro Paese. Gli antibiotici restano un prezioso strumento salvavita, ma devono essere usati con consapevolezza”.

Oltre alla sinergia tra i vari centri infettivologici, il progetto Resistimit si contraddistingue per la funzione innovativa degli strumenti tecnologici. “La piattaforma software che utilizzeremo permetterà non solo di mettere in rete tutti i dati di real life, ma anche di determinare un sistema di analisi dei dati stessi tramite l’intelligenza artificiale con analisi predittive – evidenzia Falcone – Ciò significa che avremo la possibilità di anticipare le diagnosi, identificare il miglior trattamento, individuare i casi più complessi, fino a migliorare la gestione delle infezioni e ridurre la mortalità. Questo trasforma la ricerca da statica a dinamica”. “L’Italia resta il primo Paese europeo per numero di infezioni e di morti, con circa 15mila decessi l’anno stimabili come causati da microrganismi resistenti agli antibiotici – evidenzia Falcone – Come indicato dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 l’antibiotico-resistenza sarà la prima causa di morte a livello globale, provocando 10 milioni di decessi.

“Con questo progetto – sottolinea Claudio Mastroianni, presidente Simit – si vuole fornire supporto sia ai clinici che alle istituzioni. Si affianca ai sistemi di sorveglianza ministeriali, ma si caratterizza per il valore aggiunto della gestione clinica, per la dinamicità, per gli interventi in real life. Si offre un prezioso strumento per analizzare nel dettaglio tutte le sfaccettature di questa problematica e per ottenere informazioni aggiornate sulle infezioni provocate da microrganismi multiresistenti”.

Torna Pharmaexpo, a Napoli focus su gluten free e cannabis terapeutica

E’ ‘Salute e vita di relazione’ il fil rouge di Pharmexpo, salone dell’industria farmaceutica, unica manifestazione b2b del Centro-Sud Italia dedicata al settore che mette in contatto farmacisti, medici e operatori con le aziende. L’appuntamento è dal 27 al 29 ottobre alla Mostra d’Oltremare di Napoli. La fiera, organizzata da Progecta in collaborazione con l’Ordine dei farmacisti e con Federfarma, si estenderà su un’area espositiva di 7.500 mq e vedrà la partecipazione di 250 primarie aziende di prodotti farmaceutici, cosmetici, sanitari, naturali, dietetici. “Pharmexpo è un’occasione per discutere dello stato dell’arte e della direzione che deve prendere la professione del farmacista – sottolinea l’assessore alla Salute del Comune di Napoli e presidente dell’Ordine dei farmacisti, Vincenzo Santagada – è un incontro annuale che permette un reale confronto tra tutti i protagonisti delle filiera ed è importante per l’aggiornamento professionale e per le novità che ogni anno qui si presentano”. I focus principali saranno farmacia dei servizi; uso della cannabis terapeutica; farmacia galenica; telemedicina; concorso per l’apertura di nuove sedi farmaceutiche; terapie personalizzate per pazienti cronici; alimentazione integratori; e-commerce farmaceutico. “La farmacia dei servizi – evidenzia Riccardo Iorio, presidente Federfarma – finalmente sta muovendo i primi passi e le farmacie napoletane hanno dimostrato da sempre la loro lungimiranza. Mi aspetto molta partecipazione a questa edizione che rappresenta ormai una realtà consolidata nel mondo della sanità”. Alla quindicesima edizione di Pharmexpo, spazio anche al gluten free con degustazioni di prodotti per prestare attenzione ai circa 200mila celiaci diagnosticati, considerando che la platea arriva a 600mila con i non certificati. Saranno inoltre presenti le più importanti aziende del settore e particolare attenzione sarà data ai robot, soluzione digitale che consente di avere magazzini automatizzati.

Tumori: polmone, mortalità in calo negli ultimi 30 anni

È in calo negli ultimi 30 anni la mortalità per tumore al polmone in Italia non solo tra gli uomini, ma anche tra le donne. Lo afferma uno studio condotto da Istituto Superiore di Sanità, Istituto Nazionale di Statistica, Registro Tumori dell’Emilia-Romagna e Università di Padova pubblicato dall’International Journal of Cancer.

Lo studio, utilizzando la banca dati Istat di mortalità per gli ultimi 30 anni, analizza l’andamento della mortalità per tumore al polmone utilizzando l’analisi per coorte di nascita come asse temporale principale e valutandone anche la diversa evoluzione a livello provinciale.

Dall’analisi si conferma il declino generalizzato della mortalità negli uomini, a partire dal picco osservato nella generazione dei nati nel decennio 1920-1929 (tra questa coorte e l’ultima coorte osservata, quella 1960-1969, il rischio diminuisce dell’83%). Nelle donne invece si osserva un picco nella coorte delle nate nel decennio 1955-1964, con un ritardo di circa 35 anni rispetto agli uomini, a cui fa seguito una decrescita (la coorte più giovane ha un rischio minore del 43%). Questi andamenti sono stati dimostrati per la prima volta grazie all’analisi per coorte di nascita e non sarebbero apprezzabili seguendo l’usuale approccio di periodo.

In Italia, come in altri paesi europei, maschi e femmine si trovano quindi in fasi diverse dell’epidemia di cancro al polmone, legate alle variazioni dei comportamenti e degli stili di vita. Dallo studio è emerso anche un forte differenziale geografico.

Per le coorti più anziane nel paese si osserva un gradiente di mortalità nord-sud, con le regioni settentrionali a rischio maggiore, che è stato sostituito nelle coorti più giovani da un gradiente est-ovest, con le regioni occidentali a mortalità più elevata. Nelle coorti più giovani, Napoli è la provincia a più alta mortalità in Italia, sia tra gli uomini ma soprattutto tra le donne (nelle donne la coorte più giovane ha un rischio di mortalità di 2.2 volte la media nazionale). Questo andamento è coerente con una maggiore prevalenza dei fattori di rischio, soprattutto l’abitudine al fumo, per il tumore al polmone nelle popolazioni residenti nel sud-ovest del Paese.

“Questo cambiamento – sottolineano gli autori – pone due problemi. Il primo, relativo alla disponibilità di terapie adeguate, è che il rischio massimo di mortalità osservato in quelle aree geografiche si correla ad una sopravvivenza netta (di tumore al polmone) a 5 anni standardizzata per età (Italia sud-occidentale maschi, 13%; femmine, 18%) più bassa che nel resto del Paese (Italia nord-orientale: maschi, 16%; femmine, 20%). Il secondo problema è che la progettazione delle campagne di prevenzione e disassuefazione dal fumo deve essere riconsiderata, per determinare se esse debbano essere adattate a una popolazione a rischio in evoluzione”.

Dalla Campania appello a donare midollo

Un forte appello alla cittadinanza a donare il midollo ma anche sangue, tessuti, organi perché senza donazioni non si possono effettuare trapianti e dunque non si possono salvare vite è stato lanciato in occasione dell’evento ‘Un donatore moltiplica la vita’, nell’ambito delle iniziative per la Settimana mondiale della donazione di midollo, finalizzate a incoraggiare i cittadini a diventare donatori. L’appuntamento è stato organizzato dalla Direzione generale per la Tutela della salute della Regione Campania in collaborazione con la Rete trapiantologica di organi che opera in sinergia con il Coordinamento regionale delle associazioni ‘Ancora insieme’ e con il Centro regionale trapianti. Volto della campagna di sensibilizzazione è quello di Diana, bimba di 8 anni, scomparsa nel 2018 a causa di una malattia al midollo. “Parlare qui oggi non è facile – ha detto Michele, papà di Diana – ma abbiamo voluto dare un senso a quanto ci è accaduto. La Campania è un territorio inquinato per colpa di scellerati sversamenti da parte dei clan e di imprenditori spietati che hanno reso il nostro bellissimo territorio avvelenato e sono molti i bambini che si ammalano, come Diana. Il nostro territorio ha fame di donatori di midollo osseo, i bambini necessitano di trapianto”. Secondo i numeri forniti, nel registro della Regione Campania sono iscritti 19mila donatori di midollo, ma solo il 18 per cento accetta di effettuare la donazione quando richiamati. Nel corso dell’evento è stato ricordato che la compatibilità del midollo è 1 su 100mila ed è dunque fondamentale avere una platea nazionale e internazionale il più vasta possibile e che possono essere donatori persone in perfetto stato di salute e di età compresa tra i 18 e i 35 anni.

Come sta il cuore degli italiani? Partiamo dalla prevenzione. Iniziativa alla Camera dei Deputati

Per la Giornata dedicata al cuore, parte dalle Istituzioni l’appello di Novartis, AISC E FIPC che ha coinvolto centinaia di deputati in prima fila per la prevenzione cardiovascolare. Le malattie che affliggono il cuore portano in Italia ad avere 220mila decessi: 25 ogni ora rappresentando la prima causa di morte negli adulti. Studi, casistiche, raccomandazioni ma soprattutto strategie di prevenzione. Apripista l’iniziativa di screening a porte chiuse, presentata in conferenza stampa ieri pomeriggio a Montecitorio, presso la Camera dei deputati a cui hanno aderito centinaia di rappresentanti istituzionali e funzionari rafforzando un messaggio che deve arrivare a tutti: uomini e donne, nella vita di ogni giorno.
Grazie all’innovazione terapeutica e alla prevenzione, un gran numero di morti dovute alle malattie cardiovascolari oggi potrebbero essere evitato. Nonostante questo, in Italia, come nella maggior parte dei Paesi occidentali, le patologie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la prima causa di morte nella popolazione adulta, con oltre 220 mila decessi ogni anno, che corrispondono a 25 ogni ora. Dati che, se associati al loro impatto socioeconomico, fanno emergere chiaramente l’urgenza di un piano d’azione che metta al centro la prevenzione come investimento per il futuro e il benessere dei cittadini e di tutto il Paese.
Qual è infatti il costo delle malattie cardiovascolari in Italia e in Europa?Uno studio presentato nel corso del recente Congresso ESC (European Society Cardology) indica che quelli europei corrispondono a 282 miliardi di euro, pari a 636 euro pro-capite. A livello italiano, questi costi ammontano a oltre 41 miliardi di euro, ovvero il 15% della spesa sanitaria, pari a 726 euro pro-capite, e quindi al di sopra della media europea. Dati senz’altro allarmanti, soprattutto se messi in relazione alla percentuale di spesa pubblica dedicata alla prevenzione (il 7,3% del Fondo Sanitario Nazionale nel 2022) che ci colloca tra gli ultimi posti in Europa.
Uno scenario che, in occasione della Giornata Mondiale del Cuore, ha suggerito un’azione congiunta tra Novartis e i principali esperti del cuore, riuniti in un incontro a Roma per proseguire il dialogo e condividere l’urgenza di avviare strategie di prevenzione e interventi mirati volti ad affrontare la crescente incidenza delle malattie cardiache. Un incontro autorizzato dalla Camera dei Deputati in cui, in due giorni, diverse centinaia tra parlamentari, funzionari e membri degli staff della Camera si sono sottoposti a un’attività di monitoraggio dei propri livelli di colesterolo, proprio per accendere i riflettori sull’importanza di una maggiore sensibilizzazione in questo ambito.
‘Fare attività di prevenzione significa salvare vite. È un messaggio chiaro su cui non possiamo fare confusione. Sono fortemente convinta che serva investire, così come il Governo sta ben facendo, in prevenzione primaria e secondaria relativamente a varie patologie. Questo ha ancora maggiore significato- interviene Annarita Patriarca, membro della XII Commissione Camera dei Deputati- se consideriamo che le malattie cardiovascolari sono le prime cause di morte in tutto il Paese. Dalla Camera arriva un segnale chiaro sull’importanza della prevenzione”.
 
L’impatto delle malattie cardiovascolari
Le malattie cardiovascolari costituiscono oggi la prima causa di morte nell’adulto di cui il 30% ascrivibile a una condizione di trombosi o di aterosclerosi della parete arteriosa (cardiopatia ischemica, l’ictus ischemico e l’arteriopatia periferica).
A livello globale, 1/3 delle cardiopatie ischemiche è attribuibile a ipercolesterolemia che è responsabile di 4,4 milioni di decessi all’anno. Le anomalie del metabolismo lipidico, in particolar modo i livelli elevati di colesterolo LDL, giocano un ruolo cruciale nel determinare le malattie cardiovascolari, costituendo il maggior fattore di rischio.
Si stima che in Italia siano almeno 7,5 milioni le persone coinvolte in problemi ad esse correlati, a cominciare proprio dall’ipercolesterolemia che interessa almeno il 23% delle donne e il 21% degli uomini italiani, una percentuale che può addirittura a superare il 35% se si considerano anche i valori borderline di colesterolo LDL.
“Preoccupa la quota significativa di casi attribuibili a condizioni trombotiche o di aterosclerosi in cui l’ipercolesterolemia- spiega Pasquale Perrone Filardi,Docente ordinario di Cardiologia, direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Presidente Società Italiana di Cardiologia (SIC) – rappresenta un fattore di rischio chiave. Le malattie cardiovascolari si confermano purtroppo come la principale causa di morte nel mondo, provocando più decessi di tutti i tumori. Gli strumenti e l’innovazione a disposizione consentono di intervenire preventivamente su circa l’80% degli eventi cardiovascolari. Perseverare con sforzi collettivi di attività di sensibilizzazione contribuisce a ridurre l’incidenza di rischio e salvare molte vite”.
Per le donne, poi, una attenzione particolare: ‘Nel periodo fertile hanno una protezione ormonale rispetto ai rischi del cuore- aggiunge Filardi- ma dopo il rischio rimbalza, e forse supera quello degli uomini. E’ importante quindi la prevenzione, di cui le donne stesse ma anche chi è intorno a loro deve essere consapevole e non sottovalutare nulla’.
Appuntamento in piazza per le misurazioni gratuite del colesterolo
Numerosi gli studi che hanno stabilito il ruolo centrale dell’ipercolesterolemia nello sviluppo delle malattie cardiovascolari, dimostrando l’esistenza di una relazione tra colesterolemia, mortalità e incidenza delle malattie cardiovascolari.
Livelli elevati di colesterolo, in particolare di colesterolo LDL (LDL-C), aumentano il rischio di malattie cardiovascolari e ictus. Il monitoraggio costante del colesterolo è dunque fondamentale, soprattutto quando i suoi livelli sono più elevati rispetto alla quantità necessaria che può essere metabolizzata con successo da parte del nostro organismo, come confermato anche dalle linee guida EAS/ESC.
Per giocare d’anticipo e allontanare il rischio di possibili eventi cardiovascolari, serve considerare il colesterolo LDL non più come un indicatore, ma come un vero e proprio fattore di rischio.
Da questi importanti presupposti Novartis, con il patrocinio dell’Associazione Italiana Scompensati Italiani e della Fondazione Italiana per il Cuore, sarà presente “nel cuore” di alcune città italiane – tra cui a Roma il 30 settembre in Piazza San Cosimato, e a Napoli il 4 ottobre in Piazza Ugo la Malfa -, con appuntamenti di misurazioni gratuite del profilo lipidico che vedranno coinvolti non solo la popolazione italiana ma anche esponenti istituzionali che vorranno conoscere i propri livelli di colesterolo e ricevere materiali educativi sulla prevenzione del rischio.
“La prevenzione, un corretto stile di vita, la conoscenza dei fattori di rischio, la diagnosi precoce, oltre naturalmente alla cura della patologia in un sistema di presa in carico del paziente e un modello gestionale della malattia di tipo integrato e interdisciplinare- precisa Maria Rosaria Di Somma,Consigliere Delegato AISC-APS- sono tematiche che quotidianamente AISC evidenzia quali fondamentali per arginare l’impatto delle malattie cardiovascolari e lo sviluppo di fasi acute. In tale contesto ogni iniziativa intesa alla informazione della popolazione rappresenta un valore aggiunto per prevenire la malattia. Per la nostra Associazione è importante che quanto prima, nell’ambito dello sviluppo della sanità territoriale, si metta al centro la prevenzione con un ruolo di primo piano al medico di medicina generale e la collaborazione del Terzo Settore”.
‘Per avviare comportamenti preventivi, il punto di partenza fondamentale è acquisire una comprensione approfondita dei fattori di rischio cardiovascolare. Questo processo inizia con la gestione del colesterolo LDL e- continua Emanuela Folco, Presidente di Fondazione Italiana Per il Cuore- si completa ottimizzando la cura dei pazienti attraverso percorsi che agevolino la loro aderenza. Da sempre crediamo nel valore e nell’efficacia di iniziative come queste, per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della prevenzione cardiovascolare’.
La sfida di ridurre e sostenere i livelli di colesterolo
Nonostante si tratti del fattore di rischio cardiovascolare più facilmente modificabile, ottenere una riduzione efficace e sostenuta nel tempo dei livelli di colesterolo LDL è ancora una sfida, tanto che 8 pazienti su 10 ad alto rischio non sono in grado di ridurre il loro LDL-C ai livelli raccomandati. Uno scenario confermato anche dal rapporto OsMed 2022 che ha evidenziato come solo il 43,6% della popolazione in trattamento con ipolipemizzanti, è aderente alla terapia, riportando inoltre che questa si riduce nel tempo a causa della complessità del regime terapeutico e degli effetti indesiderati. Tra i temi importanti per il successo della riduzione del rischio cardiovascolare, si inseriscono anche quello dell’aderenza e della persistenza alla terapia, i quali, insieme alla prossimità e alla territorialità, sono al centro del nuovo assetto della Sanità disegnato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per affrontare la sfida della cronicità.
“Pensando al futuro del nostro Paese e a come potenziare uno stato di buona salute collettiva, è giunto il momento di prendere seriamente in considerazione le patologie croniche- conclude Paola Coco, Country Head Medical Affairs di Novartis in Italia- che in Europa sono all’origine dei maggiori oneri sanitari, spesso evitabili. Come Novartis siamo convinti che mettere al centro il tema della prevenzione, sia attraverso programmi di sensibilizzazione, sia dando particolare attenzione alle fasce di popolazione più esposte a rischio con azioni più mirate come gli screening, significhi non solo garantire il diritto alla salute, ma anche costruire una società che non lasci indietro nessuno”.

Quasi 2 milioni i giovani ipertesi, rischiano infarto e ictus

Troppi i giovani ipertesi nel nostro Paese: il 14% degli under 35 (quasi 2 milioni) ha già la pressione sopra la norma (120/80 mmHg), fino al 4% dei bimbi da 6 a 11 anni con valori alterati senza saperlo. Il rischio è un infarto a cinquant’anni, un ictus ancora prima di andare in pensione. È l’allarme lanciato in occasione della Giornata Mondiale del Cuore 2023, dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia (Sic), che citano un ampio studio svedese appena pubblicato sugli Annals of Internal Medicine secondo cui essere ipertesi in tarda adolescenza aumenta considerevolmente il rischio cardiovascolare da adulti. Queste dunque le raccomandazioni Sic: iniziare a misurare la pressione già da adolescenti; mantenere il giusto peso attraverso una dieta equilibrata ricca di frutta, verdura e cerali integrali e povera di sale, grassi saturi e zuccheri. Fondamentale aumentare ad almeno 150 minuti alla settimana l’attività fisica e soprattutto evitare fumo e alcol, che danneggiano cuore e vasi. Infine, è opportuno insegnare ai giovani anche una buona gestione dello stress, che contribuisce a innalzare la pressione ed è un elemento di rischio molto frequente fra i giovani adulti, spiega spiega Francesco Barillà, dell’Università di Roma Tor Vergata; le stesse raccomandazioni valgono anche per i giovani ipertesi che in genere non necessitano di farmaci contro la pressione alta. “I dati delle università svedesi di Umea e Uppsala sono molto solidi: quasi 1,4 milioni di uomini a cui è stata misurata la pressione durante la visita di leva a 18 anni sono stati seguiti fino a cinquant’anni – spiega Pasquale Perrone Filardi, Presidente Sic. Nel campione svedese circa il 29% dei diciottenni aveva valori di pressione, superiori alla norma, il 54% poteva essere classificato come iperteso. In queste persone, negli anni, si è registrato un graduale e sostanziale incremento nel rischio di eventi cardiovascolari, tanto che un diciottenne iperteso su dieci ha avuto un infarto o un ictus prima della pensione”.