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Dopo duemila anni torna l’olio extravergine di Pompei

Dopo oltre duemila anni rinasce l’olio dell’antica Pompei con le prime bottiglie stappate per sostenere la candidatura della cucina italiana a patrimonio dell’Unesco, di cui proprio l’extravergine rappresenta una componente fondamentale. Ad annunciarlo è la Coldiretti con Unaprol e Filiera Italia nell’ambito della presentazione del logo ufficiale per la candidatura della “Cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Umanità”, promossa al Parco Archeologico a Pompei dai ministri dell’Agricoltura e Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e della Cultura Gennaro Sangiuliano.

Per l’occasione è stata allestita una grande tavola nel Porticato della Palestra Grande – sottolinea Coldiretti – per lo storico assaggio di quella che è la prima produzione a tornare nel piatto dal lontano 79 a.c., anno della distruzione della città romana. Assieme all’extravergine millenario gli agricoltori della Coldiretti hanno portato gli oli del territorio “figli” del capostipite pompeiano.

A rendere possibile il ritorno sulle tavole dell’olio di Pompei è stato il lavoro di Coldiretti e Unaprol assieme al Parco Archeologico nel recupero e nella valorizzazione degli antichi uliveti siti tra le rovine dell’antica città romana. Sono circa trecentocinquanta gli alberi di diversa epoca di impianto che sono tornati alla produzione, con la raccolta delle ulive dalle quali è stato prodotto l’extravergine chiamato “Pumpaiia” per onorare l’antichissimo nome della città.

La civiltà romana – evidenziano Coldiretti e Unaprol – fu quella che più d’ogni altra contribuì alla diffusione dell’olivo e al perfezionamento delle relative tecniche di coltivazione e di estrazione. L’olio divenne una delle principali ricchezze dei Romani che conoscevano talmente bene il prodotto da mettere a punto tecniche e strumenti rimasti quasi invariati fino al XIX secolo e, per primi, classificarono gli oli in base alle loro caratteristiche organolettiche.

Conoscevano bene, inoltre, l’importanza della qualità della materia prima ai fini dell’ottenimento di un buon olio, dalle alte qualità salutistiche e nutrizionali. Plinio (79 d.C.) classificava l’olio di oliva in cinque categorie. L’Oleum ex Albis Ulivis – ricorda Coldiretti – era considerato l’olio più pregiato dal sapore intenso, ed era ottenuto dalle olive verdi; l’Oleum Viride Strictìvum veniva estratto tra dicembre e gennaio da olive invaiate, utilizzato per ungere il corpo; l’Oleum Maturum era estratto dalle olive nere mentre l’Oleum Caducum era fatto con le olive cadute a terra. L’Oleum Cibarium era infine destinato agli schiavi in quanto estratto da olive bacate, molto imbrattate di terra, oppure tenute ammucchiate per molti giorni.

Non a caso oggi l’Italia è diventata la regina dei riconoscimenti di qualità in Europa con il suo patrimonio di 42 Dop e 7 Igp olivicole, pari al 40% delle certificazioni comunitarie, mentre Spagna e Grecia inseguono il nostro Paese a distanza con appena 29 riconoscimenti.

E l’olio extravergine d’oliva è una delle componenti fondamentali della Dieta Mediterranea e della cucina italiana – continua Coldiretti – candidata a diventare patrimonio dell’Unesco dell’Unesco su proposta del Governo italiano.

Un riconoscimento per il padre della cucina italiana Pellegrino Artusi – prosegue Coldiretti – nato nel 1820 ed autore del primo codice alimentare dell’Italia unita “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” che diede un contributo fondamentale per amalgamare, prima a tavola e poi nella coscienza popolare, le diverse realtà regionali con un comune senso d’appartenenza. E’ anche grazie al prezioso lavoro di Artusi – ricorda Coldiretti – se l’agroalimentare italiano in pochi anni da una economia di sussistenza ha saputo conquistare primati mondiali e diventare simbolo e traino del Made in Italy.

“Il valore delle esportazioni di cibo Made in Italy ha raggiunto il record storico di 60,7 miliardi ma sono convinto che ci siano le condizioni per arrivare a 100 miliardi nel 2030, utilizzando il Pnrr per colmare il gap infrastrutturale e logistico del nostro Paese ma anche mettendo uno stop alla contraffazione alimentare internazionale” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel ricordare che “per colpa del cosiddetto “italian sounding” nel mondo oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese”.

Un fenomeno che colpisce tutti i “gioielli” del Made in Italy nel piatto, compreso proprio l’extravergine del quale sui mercati è possibile trovare un Pompeian oil il prodotto in California.

“Il binomio enogastronomia-cultura è diventato la principale leva di attrazione turistica, strategica per il rilancio dell’economia e dell’occupazione, e la candidatura della cucina italiana a patrimonio nell’Unesco rappresenta un ulteriore riconoscimento di un legame che rappresenta ormai un asset determinante per il Paese. Da qui il nostro ringraziamento ai ministri Lollobrigida e Sangiuliano per un’iniziativa che può rappresentare un ulteriore volano per il nostro cibo Made in Italy ” ha sottolineato Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia.

“La rinascita dell’olio di Pompei attraverso il recupero degli ulivi del sito riallaccia un legame millenario riaffermando l’unità del prodotto italiano. Ma il lavoro portato avanti con il Parco è importante anche dal punto di vista promozionale per lo sviluppo del fenomeno dell’oleoturismo e, da qui, per l’affermazione di una nuova cultura dell’extravergine che stiamo portando avanti con la Fondazione Evooschool” ha spiegato Nicola Di Noia, direttore di Unaprol.

“Pompei svela un antenato della pizza: un affresco rivela una versione sorprendente della celebre pietanza”

Un recente affresco emerso durante gli scavi nell’insula 10 della Regio IX a Pompei potrebbe rappresentare una versione antica della pizza, nonostante la mancanza di pomodori e mozzarella, ingredienti caratteristici. L’affresco mostra una natura morta con una focaccia piatta come base su cui sono disposti frutti vari, un calice di vino su un vassoio di argento, e condimenti come spezie o pesto. Sono presenti anche frutta secca e una ghirlanda di corbezzoli gialli. Questo tipo di immagine, chiamata xenia, si ispirava alla tradizione greca di offrire doni ospitali agli ospiti, risalente al periodo ellenistico. Il ritrovamento solleva interesse per l’interessante connubio tra street art e turismo, dimostrando come l’arte urbana possa integrarsi con il patrimonio storico e culturale di Pompei. Il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, sottolinea l’importanza di proteggere e sviluppare il patrimonio artistico e culturale in conformità all’articolo 9 della Costituzione. Il ritrovamento aggiunge valore globale al sito archeologico di Pompei, che sta ricevendo ulteriori attenzioni con il completamento del Grande Progetto Pompei e l’avvio di nuove iniziative. Gli studi approfonditi da parte degli studiosi contribuiranno a una migliore comprensione di questo affresco e del suo significato nella storia di Pompei.

Archeologia: 750 reperti tornano a casa da Londra

Sono stati presentati ieri a Roma, al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, 750 reperti archeologici rimpatriati da Londra il 19 maggio scorso in seguito alle indagini del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, mirate a contrastare il traffico internazionale di beni culturali, sfociate anche in una procedura extragiudiziale e in una causa civile, condotta in stretta collaborazione con il Ministero della Cultura attraverso l’Avvocatura Generale dello Stato.

I ritrovamenti, provenienti da scavi clandestini sul territorio italiano, erano confluiti in una società inglese in liquidazione, la Symes Ltd, riconducibile a Robin Symes, importante trafficante di beni culturali.

La società, che si era sempre opposta ai reiterati tentativi di recupero da parte dell’Autorità Giudiziaria italiana, sottoposta a procedura fallimentare nel Regno Unito, è stata citata in giudizio anche in Italia, tramite l’Avvocatura Generale dello Stato, per la restituzione dei beni o il risarcimento civile del danno.

La consegna è stata possibile grazie alle complesse trattative seguite dal Ministero della Cultura (Ufficio III del Segretariato Generale, Ufficio Legislativo e Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio), in sinergia e stretta collaborazione con i Carabinieri dell’Arte che, con la fattiva collaborazione dell’Ambasciata d’Italia a Londra, li hanno scortati in Italia. L’accordo per la restituzione è stato siglato l’11 maggio scorso.

L’insieme dei reperti, databili complessivamente tra l’VIII secolo a.C. e l’epoca medievale, il cui valore è stimato in 12 milioni di euro, offrono uno spaccato delle molteplici produzioni dell’Italia antica e delle isole, riflettendo al contempo la lacerazione insanabile subita dai numerosi e diversificati contesti archeologici (funerari, cultuali, abitativi e pubblici) oggetto di depredazione, concentrati in particolare nell’Etruria e nella Magna Grecia.

Tra i pezzi più pregiati esposti a Castel Sant’Angelo figurano: un tavolo tripode in bronzo proveniente da un contesto aristocratico dell’orientalizzante etrusco, due testiere equine da parata di ambito appulo-lucano, due pitture funerarie di area meridionale; per l’epoca romana, alcune teste virili in marmo di età imperiale, varie porzioni di statue e gruppi bronzei, o, ancora, il dipinto parietale con raffigurazione di tempietto strappato con ogni probabilità da una residenza vesuviana.

I materiali riacquisiti comprendono vasi fittili, sia di produzione locale che di fabbrica attica e corinzia, in bronzo e in pasta vitrea, elementi del vestiario e monili in oro, argento, bronzo, osso e ambra, tra cui 26 collane ricomposte nella prospettiva dell’immissione sul mercato, armi, utensili e suppellettili, elementi della bardatura equina, coroplastica votiva e architettonica, sarcofagi, di cui uno in piombo con decorazione a rilievo, e urne funerarie, oggetti votivi e rituali, elementi di statuaria in bronzo, in marmo e in calcare, elementi architettonici e arredi in bronzo e marmo, decorazioni musive e dipinte.

“Il recupero del patrimonio culturale illecitamente sottratto è una delle priorità del mio programma, tutelare significa anche evitare che il nostro patrimonio sia depredato da trafficanti senza scrupoli”, ha dichiarato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. “L’azione congiunta tra Ministero e Carabinieri TPC è un esempio virtuoso di collaborazione istituzionale da preservare e consolidare anche con iniziative come questa, nella quale abbiamo lavorato fianco a fianco con la Grecia. Ringrazio l’Arma per il prezioso lavoro quotidiano, svolto in ogni parte del mondo”.

“Il rimpatrio di questi preziosi reperti dal Regno Unito è l’ulteriore conferma della consolidata sinergia nell’azione di recupero tra il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e il Ministero della Cultura”, ha sottolineato il generale di Brigata Vincenzo Molinese, comandante del TPC. “Il caso specifico ha visto inoltre il coinvolgimento fondamentale dell’Avvocatura Generale dello Stato e dell’Ambasciata d’Italia a Londra. Anche oggi celebriamo il costante impegno dei Carabinieri dell’Arte rivolto alla tutela del patrimonio culturale italiano”.

E per segretario generale del MiC, Mario Turetta, “quando le istituzioni fanno gioco di squadra i risultati arrivano sempre”.

Alla conferenza stampa sono intervenuti anche Lorenzo d’Ascia, avvocato dell’Avvocatura Generale dello Stato, ed Eleni Sourani, ambasciatore di Grecia in Italia.

Nella stessa data un analogo accordo è stato sottoscritto dal Ministero della Cultura della Grecia con la Symes Ltd per il recupero di altri reperti illecitamente esportati dalla Grecia. Un ulteriore gruppo di frammenti sarà oggetto di studio degli archeologici italiani e greci per risalire alla loro provenienza e procedere quindi alla restituzione ai rispettivi Stati.

Altri 71 reperti, attualmente negli Stati Uniti, verranno recuperati nei prossimi giorni dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. (foto di archivio)