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Bernini, favorevole all’apertura programmata di Medicina. Intanto entro il 2025 perderemo oltre 3.400 medici di famiglia

Se c’è un punto debole, una lacuna, un buco (una voragine) nell’azione di governo, l’attuale come i precedenti, riguarda la Sanità.

Si ostinano a fare annunci su fondi e sostegni a favore di un settore che avrebbe bisogno di almeno il triplo dei fondi che dicono di assegnare. E poi di una attenzione che manca da diversi anni, dovuta, forse, anche alla volontà di favorire la sanità privata nonostante nel Paese sia cresciuta la quota di povertà e, quindi, di cittadini che non possono permettersi nemmeno le cure “garantite” dalla sanità pubblica.

Vi è poi un altro tema. Quello dei medici. Della scarsità di camici bianchi.

Il Quotidiano Sanità scrive che si può stimare che dal 2021 al 2030, secondo Conto Annuale dello Stato, Onaosi, Enpam, circa 113 mila medici saranno collocati in pensione.

Il Sole 24 Ore si sofferma sui medici di famiglia: ne mancano quasi 2.900 ed entro il 2025 ne perderemo oltre 3.400. Il 42,1% sopra massimale e cala la qualità dell’assistenza. L’aumento dell’età pensionabile e dei pazienti nasconde la polvere sotto il tappeto.

Ecco, di fronte a questi numeri, ci si aspetterebbe un provvedimento immediato per favorire l’accesso alle facoltà di medicina. Magari sostituendo l’attuale test (tanto discusso, di recente oggetto di ricorsi) con delle logiche di sbarramento basate sul numero minimo di esami da sostenere al primo anno per confermare l’iscrizione.

Invece la ministra Bernini parla di apertura programmata. “Io sono assolutamente favorevole all’apertura del corso della facoltà di Medicina e Chirurgia in maniera programmata – dice -, l’ho già fatto. Abbiamo creato quest’anno 4mila posti in più, che in 6 anni saranno 30mila posti in più. Lo abbiamo fatto con una proiezione che viene dalla Conferenza Stato-Regioni, quindi loro lo sanno il lavoro che stiamo facendo”.

Se anche Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca e senatrice di Forza Italia, ignora la gravità del problema allora stiamo messi male. Lo si capisce nelle dichiarazioni successive: “Ma soprattutto – ha aggiunto – siccome siamo intellettualmente onesti e non vogliamo fare demagogia lasciando agli studenti la possibilità di autoselezionarsi, come governo vogliamo garantire la qualità della formazione e lo stiamo facendo”. “Abbiamo dato 23 milioni di euro in più a Medicina per quei posti in più che abbiamo già garantito. Apertura, se è una cosa seria, non è una parola, ma un percorso e noi per primi lo abbiamo avviato e continueremo a percorrerlo”.

Anche la mancanza di medici è una cosa seria! E se non affrontata in tempi brevi rischia di diventare una cosa grave.

Spallanzani, più casi Covid, serve nuovo sistema monitoraggio

“Nelle ultime settimane c’è una ripresa dei casi per l’emergere delle nuove sottovarianti e per gli effetti della stagione estiva, gran parte sono infezioni lievi. La malattia per la persona giovane adulta e sana è clinicamente non rilevante. Al contrario, nei fragili, grandi anziani e immunodepressi, il Covid rimane un problema. Per questo si dovrebbe passare ad un monitoraggio che si concentri sui casi ricoverati in ospedale, sui casi gravi”. Lo afferma Andrea Antinori, direttore del Dipartimento clinico dell’INMI Spallanzani che aggiunge: “il monitoraggio oggi si focalizzi non tanto sull’infezione ma sulla malattia”.

 

Obesità, ernia e reflusso curabili in un unico intervento

Un unico intervento chirurgico per curare contemporanemente l’obesità, l’ernia iatale e il reflusso gastroesofageo. È un’evoluzione della “sleeve gastrectomy”, una nuova tecnica di gastrectomia verticale che consente di ridurre il volume dello stomaco, di riparare l’ernia e di ricostruire la valvola antireflusso in una sola operazione. Una soluzione utile considerando che secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità gli italiani obesi sono oltre 4 milioni e che nel 50% di coloro che sono candidabili alla chirurgia bariatrica coesistono anche le altre due condizioni.

Questo nuovo intervento “evoluto” è una delle novità presentate in occasione della 26esima edizione del congresso mondiale dell’International Federation for the Surgery of Obesity and Metabolic Disorders (Ifso), che si è svolta a Napoli.

“La sleeve gastrectomy è un trattamento di chirurgia bariatrica che può essere considerato nei casi di obesità e che, mediante la riduzione dello stomaco, induce un precoce senso di sazietà – spiega Luigi Angrisani, professore associato in Chirurgia Generale all’Università Federico II Napoli e presidente del congresso -. La perdita di peso che si ottiene con un intervento di sleeve gastrectomy è legata alla consistente riduzione della capacità dello stomaco, che, da un lato, induce la sensazione di sazietà già dopo una modesta ingestione di cibo, e, dall’altro, causa un’importante riduzione del livello di grelina, l’ormone che determina il senso di fame”. La presenza di ernia iatale e reflusso gastroesofageo non preclude la possibilità di ricorrere alla sleeve gastrectomy. “In pochi centri selezionati in tutto il mondo – sottolinea l’esperto- per chi soffre di obesità con ernia iatale e reflusso gastroesofageo c’è la possibilità di ricorrere a un tipo di gastrectomia verticale modificata, o meglio ‘evoluta’, che consente di risolvere i 3 problemi con un unico intervento”. “Negli ultimi anni- conclude Angrisani – le tecniche chirurgiche sono molto migliorate e questo ci consente di aiutare sempre più pazienti che, oltre all’obesità, presentano anche ulteriori condizioni patologiche”.

Le ondate di calore aumentano i rischi per chi ha l’Alzheimer

Le persone con patologie neurodegenerative, e in particolare demenza e Alzheimer, potrebbero essere particolarmente a rischio a causa delle ondate di calore che, anche a causa del cambiamento climatico e del global warming, continuano ad aumentare.

Lo rileva uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Trieste, in collaborazione con docenti e neurologi dell’Environmental neurology specialty group della World federation of neurology, e pubblicato sulla rivista internazionale Current Alzheimer Research. Secondo lo studio, tra i vari effetti negativi che le patologie neurodegenerative possono avere sulle capacità cognitive e funzionali c’è anche una ridotta capacità di termoregolazione dell’organismo, soprattutto negli anziani. Per questo motivo, se sottoposti a forti ondate di calore, i malati di Alzheimer o quelli affetti da demenza potrebbero non riuscire a mantenere costante la temperatura del proprio corpo, esponendosi a rischi maggiori. Inoltre, il riscaldamento globale potrebbe essere indirettamente associato allo sviluppo di condizioni cliniche, tra cui malattie renali o infettive, che possono danneggiare ulteriormente i soggetti fragili.

Sotto l’aspetto fisiologico – emerge dallo studio – le persone con disturbi cognitivi e malattie neurodegenerative potrebbero essere colpite dal riscaldamento globale attraverso diversi meccanismi, come lo stress da calore che potrebbe comportare un aumento dell’eccitotossicità, dello stress ossidativo e della neuroinfiammazione. Se concomitanti, questi effetti potrebbero promuovere l’accumulo del peptide beta amiloide e della proteina tau, molecole ritenute i principali responsabili della malattia di Alzheimer. Inoltre, le persone con Alzheimer possono avere schemi circadiani alterati, cioè variazioni della temperatura corporea diverse da quelle fisiologiche e manifestare anomalie della termoregolazione. E’ stato ipotizzato – ricorda lo studio – che il forte aumento dei decessi tra le persone con gravi deficit cognitivi durante le precedenti ondate di calore potrebbe essere stato causato dall’incapacità di una persona di percepire le condizioni ambientali, la soglia della sofferenza e ascoltare i meccanismi di difesa fisiologici, tra cui la sete.

Inoltre, è stato evidenziato che alcuni trattamenti farmacologici possono influenzare alcune risposte termoregolatorie e in particolare la sudorazione.

 

Fitness, come tenersi in forma in vacanza con pochi e semplici esercizi. Per principianti e diversamente giovani

di Marzio Di Mezza.

L’estate, si sa, può disseminare molte trappole lungo il cammino di chi pratica sport a livello amatoriale per dimagrire o anche per tenersi in forma nel lungo periodo.

Gli spritz e i cocktail sulla spiaggia, restare svegli con gli amici fino a notte inoltrata, una o due settimane lontano dalle palestre e, in generale, una vita meno regolare sono tutti elementi che incidono negativamente sulla forma fisica, oltre che sulla salute.

Se il tutto si limita ad un periodo breve, quello coincidente con le vacanze, nessun problema. In poco tempo si può recuperare tutto.

Per chi, invece, non volesse rinunciare al proprio benessere nemmeno in vacanza la soluzione esiste ed è molto semplice: una sana alimentazione e un allenamento, anche blando, due o tre volte a settimana.

I consigli sui cibi da preferire e quelli da evitare li lasciano agli esperti di nutrizione, limitandoci a suggerire una corretta quota di carboidrati, proteine e fibre in tutti i pasti; pochi condimenti (a crudo); bevande non alcoliche, non gasate né tantomeno zuccherate; una colazione abbondante ma sana e leggera ogni mattina.

Muscoli e sistema cardiocircolatorio si curano benissimo anche in vacanza. Ad esempio con lunghe passeggiate in montagna per chi predilige queste mete, o anche vicini al mare preferibilmente nelle ore meno calde del giorno. Non è necessario correre, anzi per alcune tipologie di persone è addirittura sconsigliato. E’ ricca di benefici una andatura sostenuta e costante, meglio se accompagnata dal movimento delle braccia per favorire il flusso sanguigno in tutte le parti del corpo e per stimolare anche la parte alta oltre che gli arti inferiori e il bacino.

Per chi ha la possibilità, un eccellente allenamento è il salto della corda. Quindici minuti al giorno riescono a farci bruciare fino a 200 calorie. Oltre a farci sentire un po’ come Rocky.

Chi non ha una dotazione di pesetti, kettlebell o elastici da portarsi dietro, può tranquillamente tenere i muscoli in attività con una serie di esercizi a corpo libero.

Suggeriamo una breve e semplice ruotine da eseguire ogni giorno (o a giorni alterni).

Cominciamo aprendo le braccia ad altezza delle spalle: 10 rotazioni delle braccia in senso orario e 10 in senso antiorario, come a formare dei piccoli cerchi con la punta delle mani; subito dopo eseguiamo 10 piegamenti. Ogni piegamento a terra inizia con una tenuta isometrica dove il corpo viene mantenuto in posizione di plank. Ripetiamo l’esercizio per 3 volte facendo una pausa di almeno 2 minuti tra ogni serie. Se inizialmente 10 piegamenti risultano troppo pesanti (per i principianti e per persone anziane) cominciamo a farne 5.

Poi il curl alternato. Procuratevi due bottiglie di acqua da 2 litri, che siano di facile impugnatura. Prendere una bottiglia per mano, tenendo i gomiti fermi quanto più possibile vicini al corpo, sollevare le bottiglie fino ad arrivare quasi sotto al mento e tornare alla posizione iniziale, alternando braccio sinistro e destro. Per dieci volte per braccio. Da ripetere 3 volte.

Adesso le gambe, con i deep lunges meglio conosciuti come affondi. Mettetevi in posizione eretta con i piedi alla larghezza del bacino lo sguardo rivolto in avanti, a testa alta. Impugnate le due bottiglie di con i palmi delle mani all’interno e le braccia parallele al busto. Fate un passo in avanti di poco più lungo del passo normale, piegando entrambe le gambe; la gamba davanti spinge verso l’alto e indietro ritornando con piedi paralleli. Alternate il movimento portando avanti prima la gamba destra e poi la sinistra.

Infine i plank per gli addominali e per rinforzare la parte bassa della schiena. Anche se in linea secondaria aiutano a tonificare anche la muscolatura delle spalle, del petto, braccia, glutei e cosce.

Posizionatevi a terra proni, con i gomiti in appoggio, le braccia flesse a 90° rispetto al busto, e le gambe distese semi divaricate. L’esecuzione del Plank consiste nel mantenere la posizione del corpo in asse, attraverso una contrazione isometrica dei muscoli coinvolti. Restate così, immobili, per almeno 1 minuto. Ripetete 3 volte l’esercizio.

Naturalmente abbiamo voluto dare qualche suggerimento ai meno esperti in quanto gli esperti e i frequentatori abituali di palestra sapranno perfettamente cosa fare, quali esercizi eseguire, tempi e modalità, per rimanere tonici ed allenati anche durante le vacanze.

Cisl Fp Irpinia-Sannio, basta squilibri con l’intramoenia

La Cisl Fp Irpinia Sannio scende in campo – dopo i riflettori accesi dal leader della federazione regionale Lorenzo Medici – sulle rilevanti discrasie emerse nelle attività sanitarie svolte in regime pubblico e in intramoenia. “Nei prossimi giorni – dichiara il segretario generale della categoria Massimo Imparato – chiederemo ai direttori generali di fornirci i report di tutte le prestazioni sanitarie effettuate in Lea (ovvero in attuazione dei livelli essenziali di assistenza) e in ALPI (ovvero in attività libero-professionale intramuraria), a partire da quelle oncologiche e cardiologiche, per le quali emergerebbe uno squilibrio preoccupante all’ospedale Moscati di Avellino, dove, dai dati diffusi, sarebbero state effettuate 979 visite cardiologiche in intramoenia e solo 7 in regime pubblico”. Il numero uno della Funzione Pubblica Irpinia-Sannio fa riferimento all’indagine di Cittadinanza Attiva, che ha notato un deficit nel pubblico soprattutto in Campania, dove risulta una differenza rilevante per esami e visite effettuate con le due procedure a favore di quella “privata” svolta dentro le strutture sanitarie. E denuncia: “Se dovesse emergere uno squilibrio tra le prestazioni assicurate in regime pubblico a favore di quello intramoenia, ci troveremmo di fronte ad un fenomeno ai limiti della fraudolenza. Se così fosse – conclude Massimo Imparato – non avremmo alcuna difficoltà a segnalarlo anche alle autorità competenti. E’ odioso ed inaccettabile lucrare sulla pelle della povera gente che chiede una prestazione sanitaria, un diritto costituzionale assoluto, ed aspetta tempi lunghissimi per le liste d’attesa chilometriche esistenti sul territorio irpino, sannita e dell’intera regione, e poi vedersi scavalcare da chi è disposto a pagare una tariffa per avere risposte immediate”.

Ha ictus a 101 anni, dopo 7 giorni di ricovero torna a casa

Un ictus, a 101 anni, e dopo una settimana di ricovero alla Stroke Unit dell’ospedale Cardarelli, torna a casa. Avventura a lieto fine per un anziano nato nel 1922 in Germania e residente in Campania ormai da molti anni. Una mattina di qualche settimana fa l’anziano signore aveva accusato un grave malore in casa che lo aveva condotto in codice rosso al pronto soccorso del Cardarelli.

“Le procedure che abbiamo messo in atto per il nostro paziente centenario sono le stesse che tutti i giorni adottiamo per pazienti di ogni età – spiega Vincenzo Andreone direttore dell’Uoc Neurologia e Stroke Unit – Sicuramente in questo caso ci siamo mossi con maggior cautela, considerando l’età avanzata. A garantire la buona riuscita delle attività terapeutiche hanno contribuito la velocità dei familiari del paziente nel chiamare i soccorsi, la rapidità dell’intervenuto del 118, la capacità del nostro pronto soccorso di coinvolgerci in tempi rapidissimi, l’affiatamento e l’esperienza delle equipe della stroke unit e della Neuroradiologia Interventistica” .

Il Cardarelli è tra i centri italiani con il maggior numero di trattamenti per Ictus ogni anno; nel 2022 sono stati trattati circa 400 Ictus presso l’ospedale napoletano. “La gestione della salute dei pazienti anziani parte dalla cura che si ha in famiglia con il supporto continuo del medico di famiglia e della rete di assistenza territoriale per poi trovare una risposta ospedaliera solo nei casi di gravi criticità – sottolinea Antonio d’Amore, direttore generale del Cardarelli – Purtroppo nel periodo estivo le prime risposte assistenziali della famiglia e del territorio possono non bastare a dare riscontri immediati e determinano un ricorso eccessivo alle cure ospedaliere; l’invito che facciamo ancora una volta è quello di prestare cura agli anziani anche nel periodo estivo per poter garantire loro una buona condizione di salute. Ringrazio l’equipe della Stroke Unit e della Radiologia Interventistica per la rapidità e la professionalità con cui hanno trattato il caso del nostro paziente centenario”.

I risultati dello studio Neuro-COVID Italy sulle complicanze neurologiche di COVID-19

Disturbi neurologici meno frequenti e nella maggioranza dei casi, risolti, spesso anche in tempi brevi, nelle ondate pandemiche successive alla prima. Questi gli esiti dello studio Neuro-COVID Italy, promosso dalla Società Italiana di Neurologia (SIN), recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Neurology, giornale ufficiale della American Academy of Neurology.

I disturbi neurologici associati all’infezione da COVID-19, chiamati collettivamente con il termine “neuro-COVID”, sono tra gli aspetti più allarmanti, controversi e meno compresi della recente pandemia. Si tratta di sintomi e malattie diverse – dall’encefalopatia acuta (ovvero un grave stato confusionale, con disorientamento e allucinazioni) fino all’ictus ischemico, l’emorragia cerebrale, le difficoltà di concentrazione e memoria, la cefalea cronica, la riduzione dell’olfatto e del gusto, alcune forme di epilessia e di infiammazione dei nervi periferici. 

Il progetto Neuro-COVID Italy ha coinvolto 38 unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino ed è stato coordinato dal Prof. Carlo Ferrarese, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.

Lo studio, ideato dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano (Prof. Vincenzo Silani e Alberto Priori, rispettivamente direttore del Dipartimento di Neuroscienze di Auxologico IRCCS e direttore della Clinica Neurologica III, Polo Universitario San Paolo) e di Milano-Bicocca (Prof. Carlo Ferrarese), è stato presentato al Comitato Etico di Auxologico IRCCS a Milano il 26 Marzo 2020, ed è durato per un periodo di 70 settimane, da Marzo 2020 fino a Giugno 2021, con un successivo follow-up fino a Dicembre 2021.

Su quasi 53000 pazienti ospedalizzati per COVID-19, circa 2000 pazienti erano affetti da disturbi neuro-COVID e sono stati seguiti per almeno 6 mesi dopo la diagnosi, per analizzare l’evoluzione dei disturbi. 

«Lo studio Neuro-COVID Italy è stato un grande lavoro di squadra, svolto con impegno e dedizione da 160 neurologi impegnati in prima linea durante il periodo più duro della pandemia – afferma Carlo Ferrarese, coordinatore dello studio. «Lo studio è stato promosso dalla Società Italiana di Neurologia, che fin dall’inizio ha supportato tutte le attività di ricerca».

Il dott. Simone Beretta, neurologo presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e primo autore dello studio sottolinea l’importanza dei risultati ottenuti: «Un primo dato importante è che i disturbi neuro-COVID sono diventati gradualmente meno frequenti ad ogni successiva ondata pandemica, passando da circa l’8 per cento della prima ondata a circa il 3 per cento della terza ondata. Questo indipendentemente dalla severità respiratoria del virus e prima dell’arrivo dei vaccini. La ragione più probabile di questa riduzione sembra quindi legata alle varianti stesse del virus, che passando da quella originale di Wuhan fino a Delta hanno reso il virus meno pericoloso per il sistema nervoso. Con la variante Omicron e l’uso dei vaccini, la situazione è andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-COVID sono ora diventati molto rari».

Un secondo dato, riguarda il recupero neurologico nei mesi successivi all’infezione, come spiega il professore Carlo Ferrarese: «In oltre il 60 per cento dei pazienti c’è stato una risoluzione completa dei sintomi neurologici oppure la persistenza di sintomi lievi, che non impediscono le attività della vita quotidiana. Questa percentuale arriva a oltre il 70 per cento per i pazienti in età lavorativa, tra i 18 e i 64 anni».

«Non bisogna però dimenticare che – prosegue Ferrarese – in circa il 30 per cento dei pazienti, i sintomi neurologici sono durati oltre i 6 mesi dall’infezione. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda i pazienti con ictus associato all’infezione da COVID, che nelle prime ondate sono stati gravati anche da una elevata mortalità intraospedaliera. Ma anche per i disturbi cognitivi, della concentrazione e della memoria, la risoluzione dei sintomi è stata molto più lenta rispetto ad altre condizioni neurologiche, tanto da rientrare in quella che è stata chiamata sindrome long-COVID. Questa nuova sindrome è attualmente seguita in molti centri neurologici coinvolti nello studio».

Il Professor Alberto Priori, direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia e della Clinica Neurologica dell’Università degli Studi di Milano presso il Polo Universitario San Paolo alla ASST Santi paolo e Carlo di Milano, che con i suoi collaboratori ha descritto per primo i disturbi cognitivi associati al COVID, rileva inoltre che «se, quando e quanto l’infezione da Sars-Cov-2 potrà determinare un incremento del rischio di patologie neurologiche ad essa correlate a distanza di anni rimane ovviamente da essere studiato. Visti i dati della pandemia appena finita, i numeri potrebbero ipoteticamente essere importanti. Ciò implica che i sistemi sanitari europei oltre che le società scientifiche dovranno monitorare attentamente il quadro neuro-epidemiologico e dedicare sin da ora risorse specifiche a tale osservazione nel tempo».

«Lo studio Neuro-COVID Italy ci rende orgogliosi – conclude Vincenzo Silani – per avere intuito precocemente il coinvolgimento del sistema nervoso nella pandemia legata al COVID ed avere così determinato la raccolta dei dati nella penisola tracciando una prima valutazione dell’impatto neurologico in acuto e nel lungo termine della pandemia».

All’Ospedale Monaldi una tecnica innovativa per il trattamento chirurgico delle patologie complesse dell’arco aortico

È un intervento innovativo quello che ha salvato la vita di Carlo (nome di fantasia) da una grave malattia dell’arco aortico. La procedura è stata realizzata per la prima volta nella Cardiochirurgia del Monaldi, andando ad ampliare in modo significativo le opzioni terapeutiche all’avanguardia a disposizione dei pazienti. La storia di Carlo è però emblematica. L’uomo, 80 anni, si è rivolto al pronto soccorso del Presidio Ospedaliero CTO per un malore. Le sue condizioni sono apparse subito gravi. Ai primi accertamenti sono emersi, oltre ad un voluminoso aneurisma dell’aorta addominale sovrarenale, una trombosi parziale dell’aorta addominale e una trombosi totale del tripode celiaco e della mesenterica inferiore (due vasi che nascono dall’aorta e che forniscono sangue a gran parte degli organi addominali). Immediato, dunque, il trasferito presso l’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Vascolare del Monaldi. All’angiotac total body, successivamente eseguita, è emerso, inoltre, che il paziente presentava un voluminoso pseudoaneurisma dell’arco aortico. Una patologia che consegue ad una rottura della parete aortica e che evolve verso la definitiva rapida rottura e, quindi, verso un esito infausto per il paziente. Di qui la scelta di operare in urgenza. Carlo, però, è un paziente ad altissimo rischio. La tecnica tradizionale per questa tipologia di intervento prevede che il paziente venga posto in circolazione extracorporea, arrestando il cuore, e il corpo venga portato a una temperatura di 26 gradi centigradi, di fatto fermando completamente la circolazione sanguigna e affidando alla cosiddetta “ibernazione” la protezione degli organi, incluso il cervello.

«Vista l’età e le sue gravi comorbidità, per rendere accettabile il rischio chirurgico è stato eseguito un trattamento dell’arco aortico con una tecnica innovativa di perfusione sistemica attraverso la macchina cuore-polmoni. Una tecnica che ci ha permesso di trattare con una protesi ibrida prefabbricata tutta l’aorta senza ricorrere all’ibernazione e all’arresto cardiocircolatorio che, di fatto, avrebbe messo a serio repentaglio la vita del paziente» spiega la professoressa Marisa De Feo, direttore della UOC di Cardiochirurgia generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli e Professore ordinario di Chirurgia cardiaca dell’Università degli studi della Campania “L. Vanvitelli”, che ha eseguito l’intervento con il supporto operativo del dottor Ciro Bancone.

Regolare e senza complicanze il decorso post operatorio. «Ad oggi prosegue la professoressa De Feo – questa tecnica rappresenta il primo intervento di trattamento di patologia dell’arco aortico trattato con protesi ibrida prefabbricata eseguito in perfusione sistemica continua senza arresto di circolo e senza necessità di raffreddare eccessivamente il paziente».

«Queste procedure fanno parte di un’offerta terapeutica avanzata che prevede l’utilizzo delle tecniche cardiochirurgiche più innovative, endovascolari o ibride, impiegando, dove possibile, approcci mininvasivi (ministernotomia, minitoracotomia), per il trattamento di tutte le patologie cardiovascolari» chiosa Anna Iervolino, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli.